Tolomeo

L'astrologia in età tiberiana
Probabilmente all’età tiberiana (anche se non mancano ipotesi differenti), risale l’opera astrologica che va sotto il nome del re egiziano Nechepso e del suo sacerdote Petosiride. Benché molto si sia discusso sull’autenticità di quest’opera, pare assodato che si tratti di un falso, abilmente composto in Egitto – come tanti altri testi apocrifi – da uno o più autori sconosciuti, al fine di profittare del crescente prestigio goduto dall’astrologia in tutto l’impero romano. L’opera, di cui restano numerosi frammenti riuniti da Reiss in quattro gruppi principali, trattava di vari argomenti, legati comunque a una concezione magica dell’astrologia: il primo gruppo è relativo all’esame dei segni celesti, il cui verificarsi avrebbe permesso di interpretare correttamente un determinato evento o, in qualche caso, di prevederlo; il secondo gruppo, che si immagina tratto da un testo rivelato nel quale il re Nechepso avrebbe ricevuto una visione divina, contiene un’esposizione degli effetti che i moti celesti hanno sull’uomo al momento della sua nascita; il quarto gruppo contiene riferimenti a una complicata dottrina numerologica, basata sul computo astrologico.

La materia più nuova e interessante si trova però nel terzo gruppo di frammenti, che contengono i resti di un trattato di iatromatematica, ossia di astrologia applicata alla medicina. Senza entrare troppo nel dettaglio, sia sufficiente questo esempio: per prevedere la durata e la gravità di una malattia e, conseguentemente, trovare un efficace metodo di cura, il medico-astrologo consultava la posizione degli astri e in particolare della luna, ritenuta responsabile di un’influenza immediata sul corpo umano in generale e in particolare sul flusso e il riflusso degli umori, variabili secondo le fasi lunari. Se, per continuare con il nostro esempio, al momento della malattia la luna si fosse trovata nella costellazione dell’Ariete, il malato non avrebbe corso alcun rischio, a meno che la malattia non avesse colpito il cervello o la testa. Sempre al terzo gruppo dei frammenti appartengono i resti di un trattato di botanica astrologica: che in maniera ancora più fantasiosa redige elenchi di piante, molte delle quali inventate, associandole all’influsso, benigno o maligno, degli astri. A parte qualche singolare eccezione, le piante di sapore aspro e piccante erano poste sotto il dominio di Marte; mentre quelle profumate e i frutti zuccherosi erano sotto quello di Venere; l’energia propria a Saturno si rivelava invece nel sapore acre della cipolla, dell’aglio, della mostarda e del pepe.

La Tetrabiblos di Tolomeo 
In maniera per certi aspetti sorprendente, la Tetrabiblos, definita da Bouché-Leclercq la «Bibbia degli astrologi», non è uno scritto apocrifo, né l’opera di un dilettante: ma fu composta da uno dei più grandi astronomi dell’antichità, Claudio Tolomeo. Dopo la pubblicazione di quest’opera, l’astrologia cambiò statuto: da esotica superstizione, appannaggio di poeti, astrologi e ciarlatani di ogni tipo, divenne una disciplina scientifica.

La Tetrabiblos presenta infatti per la prima volta una riflessione ragionata, di alto livello accademico, sull’astrologia, offrendone una sistematizzazione definitiva e distinguendo, alla luce della razionalità e di teorie scientifiche accreditate, gli aspetti ritenuti fededegni da quelli fasulli. La serietà del trattato era apprezzabile sin dal proemio, nel quale Tolomeo, rivolgendosi a Siro (un imprecisato amico o discepolo, cui Tolomeo aveva già dedicato l’Almagesto), gli spiegava che l’esame degli astri consente di fare due generi di previsioni: la prima, più sicura ma incompleta, di tipo puramente astronomico, permette di prevedere con congruo anticipo quelli che saranno i movimenti degli astri stessi, in relazione l’uno con l’altro (ed era già stata discussa da Tolomeo nell’Almagesto); la seconda, invece, di tipo astrologico, era meno sicura, ma aveva un suo fondamento filosofico, basandosi sull’assunto che gli uomini devono in qualche misura dipendere dall’influsso dei cieli, che li contengono.

A dimostrare, per quanto possibile, questo assunto, Tolomeo si dedicava immediatamente dopo il proemio, nel secondo capitolo: Tolomeo non eludeva quindi il problema fondamentale dell’astrologia, ossia la sua stessa legittimità, ma affrontava i suoi avversari con il linguaggio e la tecnica argomentativa propri della grande tradizione logico-scientifica greca. Se, sostiene Tolomeo, l’influsso del sole che dà luce e calore agli organismi viventi è percepibile da chiunque; se la luna, in una maniera meno evidente, ma comunque certa, determina il flusso delle maree, è altrettanto probabile, secondo la legge dell’analogia, che gli astri influiscano sulla vita dell’uomo.

Proprio come aveva fatto nell’Almagesto, Tolomeo nei quattro libri della Tetrabiblos passò ordinatamente in rassegna e discusse le principali dottrine astrologiche antiche, offrendo una sistematizzazione della dottrina astrologica destinata a diventare canonica e a influenzare profondamente il pensiero europeo fino alla fine del Rinascimento, come dimostra anche il commento che proprio alla Tetrabiblos dedicò il filosofo Gerolamo Cardano.

La fortuna dell’opera di Tolomeo è attestata anche dal compendio ragionato che ne fece Efestione di Tebe, vissuto probabilmente sotto il regno di Teodosio: l’opera, intitolata Apotelesmatica, consiste in tre libri: i primi due riassumono, con occasionali varianti, il testo dellaTetrabiblos; il terzo espone invece in maniera compiuta la teoria delle Καταρχαί (Katarchai).