Fra determinismo astrologico e libero arbitrio

A proposito di corpi schiavi del determinismo astrale, si narra che tre astrologi predissero la morte di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) entro il suo trentatreesimo anno di vita. Fra costoro figurava Lucio Bellanti, medico di chiara fama, ma ciò che è più importante è che la profezia non sbagliò affatto. Pico morì all’età di 32 anni, gli ultimi dei quali spesi a rivendicare la libertà e la dignità degli uomini contro il superstizioso determinismo astrologico. De hominis dignitate è anche il titolo dell’orazione che scrisse per introdurre le 900 tesi delle sue Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae (1486). Tratte dalle fonti più disparate (Platone, Aristotele, ma anche Ermete Trismegisto e la qabbalah), furono elaborate come programma di discussione per un convegno di dotti che si sarebbe dovuto tenere a Roma. Il progetto sincretico di Pico, che concepiva il sapere come una sorta di filosofia universale, fu condannato da papa Innocenzo VIII. Lo scontro con l’autorità ecclesiastica e la rivendicazione della libertà dell’uomo confluirono nelle Disputationes adversus astrologiam divinatricem, opera che vide una certa influenza del Savonarola.

L’attacco di Pico all’astrologia non va inteso in senso assoluto: riconoscendo dignità all’astrologia matematica, o speculativa, che indagava le relazione fra i fenomeni celesti e quelli naturali, l’obiettivo delle Disputationes riguardava, ancora una volta, la specificità e l’esclusività della condizione umana. L’uomo, il magnum miraculum, non ha un punto fisso nella gerarchia degli esseri. Come ricordava nell’Heptaplus (1488), l'uomo può liberamente decidere di innalzarsi alle vette della sapienza celeste o di precipitare nella materia bruta. Non occupando una posizione predeterminata, egli è fautore e per certi versi responsabile di un destino che gli è proprio, svincolato e definitivamente sgravato dal peso degli influssi astrali. E proprio riguardo alla natura di questi influssi, Pico si domandava come fosse possibile attribuire, per eventi particolari e mondani, la nozione di causalità ai principi generali del mondo celeste.

Secondo Aristotele, proseguiva, i cieli sono un’entità perfetta – e dunque immutabile – che mal conciliava con la mobilità del nostro mondo, risultato di molte concause e, soprattutto, del libero agire umano. Piuttosto si può riconoscere un legame fra leggi astrologiche e fenomeni naturali, come nel caso degli effetti del Sole e della Luna. Ancora diverso è il caso della magia naturalis, concepita come massima espressione della philosophia naturalis e come l’unica forma di sapere in grado di mostrare i segreti legami di simpatia fra le parti costituenti dell’Universo. Con il suo complesso e composito sistema di pensiero, figlio di influenze e scuole filosofiche molto diverse fra loro, Pico aveva contribuito a incentrare il tema della speculazione sull’individuum e sulla sua unicità, liberandolo da un sistema e da una rete di rapporti che, fino ad allora, ne avevano soffocato l’élan intellettuale e morale.

Al dilemma fra determinismo astrologico e libero arbitrio tentò di mettere la parola fine l’aristotelico Pietro Pomponazzi (1462-1525). Acceso sostenitore della verità scientifica, che vedeva in radicale contrapposizione alle verità religiose, Pomponazzi cercò nell’astrologia un paradossale mezzo di liberazione della ricerca intellettuale dell’uomo. La libertà dell’uomo è una menzogna della quale è bene prendere coscienza: diversamente da quello che sosteneva Pico della Mirandola, lo scarto ontologico tra il mondo e l’uomo (che Ficino aveva tentato di risolvere attraverso la partecipazione all’anima del mondo) era risolto da Pomponazzi tutto a favore del determinismo e della corporeità.

Estromesso al ficiniano sistema di corrispondenze e segrete liaisons universali, l’uomo si trova dunque immerso in un mondo concepito come meccanismo di cause naturali, di forze. In questa prospettiva, pianeti e segni astrologici cessano di costituire l’alfabeto della volontà divina e non implicano la ricerca di verità metafisiche. Al contrario, essi testimoniano quel sistema di concause (concepite come naturali) che fa dell’astrologia una vera e propria verità scientifica, dalla quale è necessario purgare ogni residuo esoterico, mitologico e religioso. Su quest’ultimo fronte, in una delle sue opere più celebri, il De incantationibus (pubblicato postumo nel 1556), Pomponazzi utilizzò il tradizionale “oroscopo delle religioni” per provarne l’assoluta infondatezza e la fine prossima del Cristianesimo. Le religioni nascenti, infatti, “usano” queste forze naturali per acquisire poteri straordinari, che poi di fatto vanno scomparendo nell’attesa di una nuova religione che le sostituisca. Ma se anche la nuova religione sarà da intendere come l’ennesima menzogna, saldo e certo sarà invece il sapere astrologico alla luce dell’insegnamento di Pomponazzi. Un sapere che, nella prospettiva di un’astrologia immaginata come specchio di principi e leggi generali del mondo, anticiperà di molti anni il progressivo distaccarsi dell’astronomia scientifica dai retaggi di un’osservazione qualitativa e mitologica dei cieli.