I Padri della Chiesa: Antico e Nuovo Testamento
I rapporti tra astrologia e Cristianesimo furono fin dall’inizio conflittuali, e il retaggio giudaico della nuova religione ebbe un peso notevole in tal senso: infatti nell'Antico Testamento si registrano numerosi passi in cui sono attaccate tutte le pratiche divinatorie, compreso lo studio degli astri finalizzato alla previsione del futuro. Per gli Ebrei i corpi celesti erano delle semplici creature e attribuire loro la facoltà di esercitare un’influenza sugli eventi umani avrebbe comportato il pericolo di farne delle divinità, come avveniva nelle religioni dei popoli confinanti. Nel racconto della creazione il sole e la luna svolgono la mera funzione di segnare il tempo distinguendo il giorno dalla notte e scandendo l’avvicendarsi delle stagioni (Genesi 1, 14). L’astrologia è accostata di frequente al culto idolatrico e pertanto è ritenuta irriducibile al monoteismo ebraico (Deuteronomio 4, 19; 17, 3 e Sapienza 13, 2). Dio ha creato il sole, la luna e gli altri corpi celesti e la sua volontà è superiore alle leggi che regolano il loro moto, come ricorda il celebre episodio di Giosuè che invoca l’intervento divino per arrestare il corso del sole e allungare la durata del giorno in occasione di una battaglia vittoriosa (Giosuè 10, 12-14). Nei profeti è ripetuta una recisa condanna dell’astrologia, equiparata all’idolatria (Isaia 47, 13; Geremia 10, 2).
Nel Nuovo Testamento l’episodio dei Magi, che grazie alla loro competenza astrologica riescono a riconoscere il tempo e il luogo della nascita di Gesù, rivela una minore rigidezza (Matteo 2, 1-2). Tuttavia la cometa che scorta i Magi nel loro cammino è soltanto un segnale che non influisce sul compimento della nascita di Cristo, perché sono gli astri che si adeguano al volere divino, come dimostra l’eclissi solare che ha luogo dall’ora sesta alla nona dopo la morte di Cristo (Matteo 27, 45; Marco 15, 23; Luca 23, 44): solo un miracolo potrebbe giustificare un’eclissi di sole in concomitanza con la Pasqua ebraica, che invece prevede la luna piena.
La Chiesa attacca l’astrologia per l’implicazione del fatalismo astrale: se le stelle determinano le azioni umane, dov’è il libero arbitrio? L’uomo non sarebbe più responsabile delle sue azioni e quindi risulterebbe vana la distinzione tra il bene e il male; le leggi e i costumi dell’uomo non avrebbero di conseguenza alcun senso. I Padri mutuano argomentazioni antiastrologiche e antifataliste dalla tradizione filosofica, laddove si segnalano posizioni in aperta polemica contro il determinismo fatalista degli Stoici. Né si tratta di una critica meramente teorica, dal momento che il Concilio di Laodicea (395) proibisce agli uomini di Chiesa di praticare l’astrologia, il Concilio di Toledo (400) unisce la condanna dell’eresia di Priscilliano all’anatema contro chi crede nell’astrologia e il Concilio di Braga (563) attacca i priscillianisti, i quali insegnano che le anime e i corpi sono soggetti al potere delle stelle e, in particolare, dei segni dello Zodiaco, dodici come i figli di Giacobbe. In Occidente l’astrologia, in quanto forma di divinazione, è avversata in misura maggiore: in Oriente, invece, in essa prevale la componente scientifica, ovvero si tende ad assimilarla all’astronomia.
Il dibattito circa l'irriducibilità dell'astrologia, sia teorica sia pratica, alla religione cristiana continuò anche in età umanistico-rinascimentale. Nell'opera Contra li Astrologi, apparsa a Firenze in una data successiva al 1497, Girolamo Savonarola attacca come eretiche le tesi espresse da Pico della Mirandola a favore dell'astrologia giudiziaria.