Grecia e Roma: Arato
Mi volgo con questo mio canto a trarre dall’universo le arti
arcane, le stelle conscie del destino che variano
i differenti casi degli uomini, attivo effetto della ragione
celeste, e a sollecitare per primo con parola inaudita
l’Elicona e le sue selve, trepide nelle verdi cime,
peregrine offerte non evocate innanzi da alcuno.
Manilio, Astronomica, I 1-6 (traduzione di R. Scarcia )
L’astrologia è una sorta di religione, probabilmente di origine babilonese, che arrivò in Grecia in un’epoca piuttosto recente (intorno al III sec. a.C.): o perché, in precedenza, non ci furono sufficienti contatti culturali fra la Grecia e l’Oriente; oppure perché, nella mentalità greca di epoca arcaica e classica, le dottrine astrologiche non riuscirono a godere di sufficiente credito. Così, a parte qualche traccia, peraltro discutibile, presente nei filosofi greci del V-IV secolo, si può dire che l’astrologia cominciò a far sentire la sua presenza nel mondo greco in seguito alla conquista dell’oriente compiuta da Alessandro Magno.
Secondo un’accreditata ipotesi, le origini dello studio e della fortuna dell’astrologia in Grecia sono attribuibili all’influsso esercitato da un sacerdote caldeo, Beroso (o Berosso), che compose un’opera storica sulla Babilonia dedicata ad Antioco I Sotér, nella quale, a giudicare dai frammenti superstiti, le dottrine astrologiche figuravano come una disciplina recondita, tramandata gelosamente di generazione in generazione dalla casta sacerdotale, le cui norme consentivano di interpretare gli avvenimenti passati e talora di prevedere il futuro. L’entusiasmo suscitato dall’opera di Beroso fu grande ed egli, trasferitosi in Grecia intorno al 280 a.C., aprì una sua scuola nell’isola di Cos: dove il suo insegnamento venne assorbito dalla locale scuola di medicina in una forma e secondo modalità che ci sono sconosciute. In ogni caso, appare verosimile ritenere che l’opera di Beroso non fosse concepita per istruire futuri astrologi, quanto piuttosto per offrire ai Greci la novità di un sapere nuovo e, nel contempo, consolidare il prestigio della scienza caldea.
Arato
Se l’opera di Beroso è andata perduta e i frammenti superstiti appaiono, per più ragioni, sospetti di falsificazioni successive, la fortuna letteraria dell’astrologia in età ellenistica è per noi garantita da un’altra opera, questa volta in versi: i Fenomeni di Arato. Arato non era un astrologo né un astronomo: a quanto risulta dalle fonti, avrebbe semplicemente trasposto in versi un trattato astronomico di Eudosso di Cnido (390-337 a.C. circa), discepolo di Platone, che, secondo la testimonianza di Cicerone (Divin. 2.42), non aveva però dato alcun credito alle dottrine dell’astrologia caldea.
Un confronto fra i Fenomeni e il perduto trattato di Eudosso è ovviamente impossibile: ma si può ritenere che Arato abbia avuto mano libera nel trattare le numerose leggende mitologiche legate all’interpretazione dei segni zodiacali, che, nella sua opera, appaiono descritti in lingua greca per la prima volta. Comunque stiano le cose, i Fenomeni di Arato – poema giudicato mediocre dai moderni, ma apprezzatissimo dagli antichi e tradotto più volte in latino – stabilirono una volta per tutte l’iconografia zodiacale e contribuirono in maniera decisiva alla sua diffusione in Occidente. Arato non compose quindi un poema astrologico nel senso tecnico del termine: allievo del filosofo Zenone, intese comporre un’opera a lode degli astri, somma meraviglia dell’universo e del dio creatore; ma, essendo poeta, introdusse anche una serie di leggende e di miti destinati a diventare parte integrante della speculazione astrologica dei secoli successivi.