I Greci e i Romani avevano idee precise sui fenomeni vulcanici e sismici, ma non sapevano dare per essi una spiegazione razionale; infatti, la loro percezione dei rischi naturali era più superstiziosa che scientifica. Se si osserva il comportamento generale dell’ uomo del mondo classico rispetto alla percezione degli eventi naturali estremi, si è colpiti da come questi non assumessero un valore intrinseco autonomo ma trascendente: una catastrofe era la manifestazione di un segno divino che, differenziandosi dalla quotidianità, le conferiva storicità e valore. Cielo e terra erano considerati due aspetti simmetrici.
Si credeva che se ci fosse stata armonia nei cieli, ci sarebbe stata pace, prosperità e armonia anche sulla terra. Comete o fulmini, terremoti o eruzioni rappresentano, dunque, una rottura dell’equilibrio armonico tra cielo e terra. In merito ai menzionati fenomeni, con il tempo, venne a svilupparsi anche una cultura presagistica e divinatoria che, in seguito, sarebbe diventata la scienza delle osservazioni astronomiche, meteorologiche e geofisiche. Ciò che distingue la predizione divinatoria dalle predizioni scientifiche è l’assenza di una successione causa-effetto tra il segno manifestato e l’evento previsto.
Secondo gli osservatori astronomici e geofisici il “Templum” era lo spazio destinato alle osservazioni degli eventi cosmici e terrestri. Questo osservatorio era considerato l’ Axis Mundi, cioè punto d’incontro tra il cielo e la terra e il mondo sotterraneo. Luogo dove i sacerdoti continuavano i libri fulgurales per capire da quale Dio provenisse la minaccia. Il templum veniva tracciato in aria dall’augure, un antico sacerdote, con uno speciale bastone il lituo con il quale veniva ricavata una porzione sacra di cielo, che veniva orientata e ripartita in sedici regioni fas e nefas, ognuna governata da una divinità. Nell’impianto teorico-religioso la pertubazione dell’armonia celeste era concepita universale e sincronica. Questo concetto permetteva ai sacerdoti esperti nell’arte divinatoria della aruspicina di interpretare il volere divino attraverso l’analisi e l’osservazione del fegato o dell’intestino dell’animale sacrificato.
L’aruspicina era molto popolare a Roma al tal punto che i re ne promossero la diffusione. Durante il primo secolo d.C. in Italia si verificarono catastrofi mai viste prima a partire dal terremoto del 37 d.C associato alla morte di Tiberio, avvenuta il 16 marzo del 37 d.C. a Miseno, il terremoto del 62 d.C. che fu percepito come presagio della fine dell’Urbe. I sacerdoti, infatti, in quella occasione, consigliarono a Nerone di trovare delle vittime sacrificali, che furono individuati nei membri di una nuova setta religiosa: i cristiani, ritenuti i veri responsabili dell’ira degli dei. Un altro terremoto, nel 68 d.C, fu quello che uccise Nerone.
Nel 79 d.C il Vesuvio fece un’eruzione devastando tutte le città intorno ad esso, tra cui Pompei, Ercolano e Oplonti. Si credeva che esistesse un chiaro nesso tra l’eruzione del 79 d.C e gli avvenimenti nefasti successivi come attestato da una diffusa letteratura pseudoepigrafa di numerosi oracoli che circolavano dopo l’eruzione. L’eruzione del 79 d.C fu associata alla morte dell’imperatore Tito dell’ 81 d.C, pur trattandosi di avvenimenti post eventum, e il testo plutarcheo è fondamentale per confermare la circolazione di oracoli che prevedevano l’avvento dell’Ekpyrosis. All’aldilà del significato presagistico dei terremoti e delle eruzioni, le continue osservazioni di questi fenomeni avevano permesso la formazione di un sapere scientifico. I terremoti erano considerati venti sotterranei e per rendere meno frequente il rischio sismico un modo era quello di scavare pozzi: "i pozzi sono una buona prevenzione sismica e parimenti le numerose cavità; infatti, sono degli sbocchi che fanno fuoriuscire lo spirito".
Le osservazioni sui fenomeni sismici avevano permesso di individuare dei precursori: "la terra non trema mai se non quando il mare è calmo e il cielo sereno che non sostiene il volo di uccelli".