Francesca Castiello
Il vulcanismo nel mediterraneo

Il vulcanismo della Campania è un risultato dei antichi processi geologici che hanno interessato il Mediterraneo a partire dal Cretaceo (circa 100 milioni di anni fa). Dal Miocene (circa 25 milioni di anni fa) inizia la collisione tra la placca continentale africana e quella euroasiatica: nello scontro, la litosfera continentale africana è sprofondata (subduzione) al di sotto di quella mediterranea, processo tuttora in atto nel Tirreno meridionale. In Italia, la zona di contatto tra le due placche è ad est della catena appenninica. La litosfera africana, sprofondata sotto la penisola italiana ed il Tirreno sud orientale ha dato luogo alla formazione di magma che nel tempo è risalito in superficie generando il vulcanismo del bacino tirrenico che si manifesta con un’ampia tipologia di vulcani da quelli sottomarini, come il Magnaghi, il Vavilov, il Marsili e il Palinuro, alle Isole Eolie fino al vulcanismo del bordo tirrenico, che comprende i numerosi vulcani formatisi in Lazio e Campania (Monti Vulsini, Sabatini, Roccamonfina, Isole Pontine, Campi Flegrei e Somma-Vesuvio), caratterizzato da frequenti e spesso violente eruzioni esplosive, seguite talvolta da estesi sprofondamenti crostali detti caldere. Un altro importante fenomeno provocato dalla subduzione è quello sismico: l’attrito tra le placche genera terremoti talvolta anche rilevanti. Trovandosi ai margini della placca europea e la placca africana, la nostra Penisola presenta un’elevata sismicità, concentrata in particolar modo nell’area meridionale, ma anche in luoghi più distanti come il nord Italia e l’Appennino. 

I Campi Flegrei

Catalogato tra la decina di supervulcani esistenti al mondo, grandi caldere con un diametro di varie decine di chilometri implicanti peraltro un elevato rischio geografico e sociale, i Campi Flegrei costituiscono una speciale tipologia vulcanica all’interno della quale, negli ultimi 39.000 anni, sono stati attivi numerosi centri eruttivi. L’età di inizio del vulcanismo nell’area flegrea non è nota con precisione: nel casertano sono state rilevate sequenze di lave (magma fuoriuscente da un cratere) e piroclastiti (prodotti dell'attività vulcanica esplosiva) risalenti a circa 2 milioni di anni di età. In superficie i prodotti vulcanici più antichi hanno un’età di circa 60.000 anni e sono costituiti principalmente da depositi piroclastici e resti di duomi lavici (collinette di forma in genere circolare, dalle pareti scoscese, formatesi quando un magma molto viscoso viene eruttato da un cratere). L'interpretazione di nuovi dati stratigrafici sia di superficie, sia provenienti da perforazioni, ha permesso di ricostruire in modo più dettagliato la storia vulcanica della caldera flegrea. La storia geologica dei Campi Flegrei è dominata da due grandi eruzioni: quella dell’Ignimbrite Campana (39.000 anni fa) e quella del Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa) connesse ad altrettanti episodi di sprofondamento che, sovrapponendosi, hanno generato una complessa caldera vulcanica denominata Distretto Vulcanico Flegreo comprendente, oltre ai Campi Flegrei, parte della città di Napoli, le isole vulcaniche di Procida ed Ischia, nonché la parte nord-occidentale del Golfo di Napoli. 

Vulcanismo più antico di 39.000 anni

Le rocce precedenti all'eruzione detta dell’Ignimbrite Campana sono evidenziate solo lungo le scarpate che bordano i Campi Flegrei ed hanno composizione essenzialmente alcalitrachitica (ad alto contenuto di silicio, alluminio e potassio). Esse comprendono i duomi lavici di Punta Marmolite (47.000 anni fa) e di Cuma (39.000 anni fa), i depositi piroclastici dei Tufi di Torre Franco (più di 42.000 anni fa) ed il relitto del cono di tufi di Monte Grillo. Solo alcuni dei centri eruttivi che hanno originato i depositi citati sono attualmente visibili, tuttavia gran parte delle piroclastiti affioranti sembrano aver avuto origine da centri ubicati in aree non distanti. Depositi piroclastici alla stessa altezza stratigrafica sono stati incontrati in perforazione a Poggioreale, Capodimonte, Ponti Rossi, Chiaiano e Secondigliano. 

L'Ignimbrite Campana (39.000 anni fa)

L'Ignimbrite Campana è il prodotto della maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell'area mediterranea negli ultimi 200.000 anni. Tale eruzione, avvenuta in un centro ubicato nei Campi Flegrei, ha seppellito gran parte della Campania sotto una spessa coltre di tufi. Durante l’eruzione si formò una caldera che determinò lo sprofondamento di una vasta area che comprende i Campi Flegrei, parte della città di Napoli ed una parte delle baie di Napoli e Pozzuoli.

vulcani sommersi del Banco di Penta Palummo e del Banco di Miseno, nella Baia di Pozzuoli

vulcani sommersi del Banco di Penta Palummo e del Banco di Miseno, nella Baia di Pozzuoli

Vulcanismo tra 39.000 e 15.000 anni fa

Le rocce eruttate nel periodo di tempo compreso tra l'eruzione dell'Ignimbrite Campana e quella del Tufo Giallo Napoletano, sono esposte lungo il bordo della caldera dell'Ignimbrite Campana, all'interno della città di Napoli e lungo i versanti nord-occidentale e sud-occidentale della collina di Posillipo. I centri eruttivi, che hanno generato principalmente attività esplosiva, erano ubicati all'interno della caldera dell'Ignimbrite Campana, sia nella parte attualmente emersa, sia nella parte che attualmente si trova sotto il livello del mare nel golfo di Napoli. In particolare a Torregaveta, Monticelli, Monte Echia, lungo il versante meridionale delle colline di San Martino e Capodimonte, e lungo i versanti nord-occidentale e sud-occidentale della collina di Posillipo. La collina di San Martino è una cupola lavica ricoperta da prodotti piroclastici. Anche i vulcani sommersi del Banco di Penta Palummo e del Banco di Miseno, nella Baia di Pozzuoli, appartengono a questo periodo di attività.

Il Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa)

L'eruzione del Tufo Giallo Napoletano è la seconda per importanza nell'area campana. Nel corso dell'eruzione furono emesse, da un centro ubicato nei Campi Flegrei, alcune decine di chilometri cubici di magma che ricoprirono un'area di circa 1.000 chilometri quadrati. I depositi connessi con l'eruzione del Tufo Giallo Napoletano si rinvengono nell'area napoletano-flegrea e nella Piana Campana fino ai rilievi dell'Appennino. L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano fu accompagnata dalla formazione di una caldera che determinò lo sprofondamento di un’area che comprende parte dei Campi Flegrei e della baia di Pozzuoli. 

Vulcanismo più recente di 15.000 anni.

Il vulcanismo più recente del Tufo Giallo Napoletano è concentrato in tre epoche di intensa attività, alternate a periodi di quiescenza. Secondo gli studi più recenti nella prima epoca (periodo tra 15.000 e 9.500 anni fa) hanno avuto luogo 34 eruzioni esplosive, con una media di una eruzione ogni 70 anni. Nella seconda epoca (periodo tra 8.600 e 8.200 anni fa) si sono verificate 6 eruzioni esplosive, con una media di una eruzione ogni 65 anni. La terza epoca (periodo tra 4.800 e 3.800 anni fa) è stata caratterizzata da 16 eruzioni esplosive e 4 eruzioni effusive, che si sono succedute con una frequenza media di una eruzione ogni 50 anni. Il vulcanismo attivo in questo periodo ha generato numerosi edifici vulcanici, molti dei quali ancora ben conservati ed esposti nei Campi Flegrei. L'ultima eruzione è stata quella del Monte Nuovo nel 1538 dopo un periodo di quiescenza durato circa 3.000 anni ed è tra le eruzioni di minore intensità avvenute ai Campi Flegrei.

Il complesso Somma-Vesuvio

Il complesso vulcanico detto Somma-Vesuvio è sicuramente uno dei più conosciuti e studiati vulcani al mondo, sia per la violenza delle sue eruzioni, sia per gli interessanti prodotti vulcanici ad esse associati, sia per l’abbondante e prestigiosa letteratura che ne tratta. Strutturalmente è uno strato-vulcano a recinto costituito dalla sovrapposizione di materiali e colate laviche. La parte più antica è rappresentata dallo strato-vulcano del Monte Somma mentre la più recente è il Gran Cono del Vesuvio. Il Monte Somma rappresenta ciò che resta di un antico cono vulcanico alto oltre 2000 metri formatosi attraverso un’attività a bassa energia di tipo effusivo e debolmente esplosivo. La violenta eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano, causò lo smantellamento di un fianco del vulcano. Un ulteriore smantellamento del settore nord orientale dell’edificio vulcanico si ebbe a seguito dell’eruzione del 472 d.C. In epoca medievale è andato formandosi, all’interno della caldera del Somma, il Gran Cono vesuviano. Il Monte Somma raggiunge attualmente la quota di 1.130 metri mentre il cono del Vesuvio è leggermente più alto (1282 metri s.l.m.). Un avvallamento semicircolare, chiamato Valle del Gigante, che rappresenta parte dell’antica caldera, divide il Vesuvio dal Somma. La più antica attività vulcanica dell’area vesuviana sembra risalga a 400.000 anni fa ed è attualmente sepolta sotto una potente coltre di prodotti, derivanti dall’eruzione dell’Ignimbrite Campana di 39.000 anni fa. I prodotti più antichi attribuibili all’attività vulcanica del Somma-Vesuvio sono le cosiddette “Pomici di Codola”, risalenti a circa 25.000 anni fa. Dopo questa prima consistente eruzione esplosiva e prima dell’eruzione pliniana del 79 d.C., ci fu un periodo caratterizzato da almeno 5 grandi eruzioni pliniane (cioè da eruzioni molto esplosive contraddistinte dalla formazione di una enorme colonna eruttiva), precedute da periodi di riposo che duravano anche migliaia di anni. L’attività vulcanica, nei secoli a venire, continuò all’interno dell’area calderizzata con modeste eruzioni effusive ed esplosive di bassa energia. Nel 472 d.C. ebbe luogo la settima eruzione pliniana che sconvolse nuovamente l’area vesuviana. In età medievale, fino al 1139, si susseguirono eruzioni effusive e esplosive di bassa energia che portarono alla formazione del Gran cono vesuviano. Seguì un lungo periodo di riposo fino al 15 dicembre del 1631 quando si verificò l’ultima grande eruzione esplosiva della storia del Somma-Vesuvio e il Gran Cono fu parzialmente distrutto. Successivamente a questa eruzione e, fino al 1944, l’attività vulcanica è continuata in maniera alterna con periodi di inattività seguiti regolarmente da eruzioni sia di tipo effusivo che esplosivo a bassa energia, i cui prodotti con il loro accumulo hanno ricostruito il Gran cono vesuviano.