Il 600 fu un secolo di grandi cambiamenti e di grandi crisi. In tutta l’Europa si susseguirono carestie e pestilenze a causa delle quali ci fu un netto calo del numero della popolazione. Dal mondo nuovo diminuì notevolmente l’invio di metalli preziosi e la spinta alla colonizzazione sembrava essersi arrestata. In molti paesi, soprattutto in Italia, l’aristocrazia fondiaria divenne sempre più una classe parassitaria, scatenando rivolte sociali che spesso si mescolarono con le lotte religiose.
Tuttavia il Seicento fu un secolo straordinariamente ricco in merito allo sviluppo dell’arte, della letteratura, della filosofia, nonché delle scienze. In questo secolo, infatti, Galileo Galilei ( nato a Pisa il 15 febbraio 1564 e morto ad Arcetri l’8 gennaio 1642), con la sua scienza sperimentale poneva le basi al moderno metodo scientifico. Iniziavano a nascere accademie ed università in tutta Europa. L'eruzione del Monte Nuovo nei campi Flegrei, avvenuta tra il 29 settembre e 6 ottobre del 1538, contribuì a sviluppare il dibattito scientifico sui vulcani. In questo contesto storico, stava nascendo una visione differente del cielo. Fino a quel momento, la chiesa aveva una visione geocentrica dell’Universo, proposta dallo scienziato egiziano Tolomeo, la cui teoria si accordava perfettamente alla visione antropocentrica dell’Universo: così come l’uomo è al centro della Creazione anche la Terra è al centro dell’Universo. La Chiesa patrocinava le iniziative scientifiche più disparate, purché avallassero la teoria geocentrica. I Gesuiti erano considerati nel mondo cattolico tra i migliori studiosi della realtà cosmica e naturale con i quali lo stesso Galileo mantenne i rapporti fino alla rottura avvenuta con la pubblicazione de “Il Saggiatore “(1622).
Nel dicembre del 1631, dopo circa cinque secoli di quiescenza, ricominciò l’attività vulcanica del Vesuvio, che fino a quel momento era in uno stato di condotto ostruito, dando luogo ad una violentissima eruzione classificata come sub-pliniana che provocò più di 4.000 vittime. Nonostante l’evento fosse stato preceduto da fenomeni precursori macroscopici, quali terremoti e deformazioni del suolo, questi non furono ben interpretati dalla popolazione locale che aveva dimenticato l’esistenza del vulcano, poiché si era persa la memoria storica. In seguito a questo evento, il viceré di Napoli fece porre una lapide, attualmente esposta a Portici cittadina posta alle pendici del Vesuvio, dove si invogliava la popolazione a segnalare tutti i fenomeni attualmente detti precursori. Secondo la tradizione l’eruzione terminò solo con l’esposizione della statua di San Gennaro dinanzi al vulcano. Le cronache relative all'eruzione del Vesuvio del 1631 furono scarse.
Successivamente, Ignazio Sorrentino famoso vulcanologo nato a Torre del Greco nel 1663 lavorò sui fenomeni eruttivi del Vesuvio ed eseguì studi sull'eruzione del 1631. Questi è considerato uno dei maggiori storiografi della vulcanologia locale e scrittore di libri dedicati alle osservazioni del Vesuvio. Sorrentino parlò di uomini che osservavano dal campanile se il Vesuvio eruttasse; nel caso in cui ciò si verificava, dal campanile era dato un segnale e contemporaneamente altri due uomini si situavano sulle rive per vedere se il mare si fosse ritirato. Le attività vulcaniche post 1631 furono analizzate in termini di fede, in quanto l'attività eruttiva risultava un segno di peccato da parte della città definita sacra per le reliquie dei martiri e sotto la protezione di San Gennaro. Dopo accurate osservazioni del Vesuvio gli scienziati dell’epoca affermavano che il Vesuvio prima o poi si sarebbe riattivato sprigionando tutta la sua aggressività. Alla base di questo approccio che Sorrentino definiva di “ vigilanza” vi era l'ipotesi che si formassero fortissimi esplosioni, come confermato dalle osservazioni nelle officine metallurgiche con la formazione del “fiume di bitume infuocato”. Il gesuita Giovan Battista Orsi, riassunse questo modello vulcanologico nell'epigrafe di Portici nel 1632 , insieme al vicerè Emanuele Fonseca e Zùnica Conte di Monterey, sopracitato, mettendo in guardia i cittadini della pericolosità del Vesuvio. Nel 1684, Nìcolas Lemery, uno dei maggiori esponenti della chimica francese ed abile sperimentatore, ebbe modo di fare importanti osservazioni in particolare su di un esperimento che chiamò "EFFERVESCENZA DEI PIRITI" dove mescolando zolfo, ferro e acqua , si produceva combustione , la miscela si gonfiava, scoppiava ed emanava un acido detto “vitriolico”. Questo per dimostrare come può reagire un vulcano in eruzione. Questo esperimento era già stato osservato dal chimico tedesco Johan Rudolph Glauber nelle fornaci metallurgiche, che formavano solfato di rame e ferro cristallizzato prodotto dalla combustione, dove egli ipotizzò proprio la fuoriuscita dell'acido vitriolico. L'ipotesi dell'esplosione poteva essere riferita anche al sottosuolo vulcanico che possedeva serbatoi di pìriti come dimostrato da Giovanni Maria della Torre, studioso di matematica e fisica e scrittore di libri sulle scienze della natura e sulla vulcanologia.
Nel 1750, William Stukley calcolò che non bastava un'esplosione di polvere piritrica per scuotere tutta l'area e quindi bisognava trovare un'altra spiegazione al fenomeno dei terremoti e delle eruzioni. I fisici iniziarono a concentrarsi sul comportamento del fuoco elettrico e dell'ambra che sprigionava scintille o dallo zolfo e fosforo che ricordavano un fulmine. I fisici Franklin e Nollet nel 1752 affermarono che la natura elettrica di un fulmine era una spiegazione delle eruzioni e dei terremoti. Il 1 novembre 1755 , un terremoto a Lisbona provocò 80.000 morti originando nuove idee rivoluzionarie da parte dei filosofi a livello scientifico. In questo periodo, in piena cultura illuminista, nuove idee e teorie interessarono lo studio delle scienze della Terra; infatti, grandi personalità, come ABRAHAM GOTTLOB, JAME HUTTON ed il vulcanologo inglese WILLIAM HAMILTON, ebbero il merito di porre le basi della moderna geologia e vulcanologia. Tra vari scienziati, si ricorda Ascanio Filomarino Duca Della Torre, il cui pendolo è attualmente conservato presso la sede storica dell’Osservatorio Vesuviano, impegnato nello studio delle scienze naturali ed il fisico naturalista De Bottis. Ascanio Filomarino condusse insieme ai vulcanologi delle escursioni vesuviane e numerosi studi sull'elettricità, producendo artificialmente scariche elettriche con enormi condensatori e partecipò al dibattito sulla “ teoria del fluido elettrico”.
Nel 1779, il Vesuvio fece un'altra eruzione dove Filomarino e De Bottis si riunirono per il “ Gabinetto vesuviano”, così che facendo degli esperimenti arrivarono ad affermare che nel giorno dell'eruzione il Vesuvio aveva emesso del fuoco elettrico molto simile all'esperimento da loro attuato. Nel 1783, un terremoto colpì la Calabria con oltre 30.000 morti e l'eruzione del Vesuvio del 1794 che distrusse Torre del Greco. Qualche giorno prima Filomarino osservò dalle sue apparecchiature strani fenomeni: l'elettrometro atmosferico indicava molti segni di elettricità positiva, il barometro segnava l'altezza di 29 pollici e il termometro era tra i 23-24 °C la mattina e 18-19 °C la sera. Tra il 1794 e il 1796, Filomarino continuò a dedicarsi alla sorveglianza del Vesuvio con una nuova creazione di un sismografo e un elettroscopio per misurare le variazioni del fluido elettrico. Il geologo tedesco Leopoldo Von Buch studiò accuratamente l'eruzione del Vesuvio del 1794 e sostenne la <>. Con questa teoria, egli sosteneva che i vulcani derivassero dal sollevamento del suolo provocato dal magma che risalendo e provocando rotture veniva a formarsi un cratere. Gli studiosi iniziarono sempre di più ad avere l'esigenza di osservare i fenomeni vulcanici del Vesuvio, tenendolo sotto controllo con apparecchi che riguardavano la metroscopia e l'elettroscopia durante la attività eruttiva. Le richieste di un osservatorio sul Vesuvio aumentarono sempre di più. Le richieste furono fatte da:
- MATTIA VALENZIANO nel 1783 al re di Napoli FERDINANDO IV;
- L'Accademia delle Scienze di Napoli propose al ministro degli interni francese Giuseppe Zurlo di creare un osservatorio sul Vesuvio; tale proposta fu respinta;
- Il geologo francese De la Groye che comunicò sul giornale francese (1815) la creazione di un osservatorio sul Vesuvio, una società vesuviana e un giornale sul Vesuvio. Nel 1804 la richiesta di un osservatorio fu proposta anche dagli studiosi dell'Etna e nel 1811 Carlo Gemellaro costruì un rifugio solido che poi nel 1879 divenne un osservatorio meteorologico e vulcanologico. Un'altra richiesta di un osservatorio sul Vesuvio fu fatta da Teodoro Monticelli. Questi insieme a Nicola Covelli, dopo la violenta eruzione del 1822, chiesero al Re delle due Sicilie Ferdinando I , di costruire sulle falde del Vesuvio un osservatorio destinato a studiare continuamente l'attività del vulcano.