Le Naturales quaestiones di Seneca: Seneca e i terremoti
Seneca nasce a Cordova nel 5 d.C. da una buona famiglia del ceto equestre spagnolo. Studiò a Roma: suoi maestri furono Attalo e Sozione, appartenenti alla Nuova Stoà, i cui insegnamenti erano improntati ad un rigido rigorismo morale. Dopo un viaggio in Egitto, Seneca iniziò a Roma la sua carriera politica e gli studi di retorica: la sua abilità oratoria e la sua elevata condizione sociale gli consentirono di integrarsi nella vita della corte imperiale. Ma la crisi dei rapporti tra imperatore e senato prima sotto Caligola e poi sotto Claudio ebbero ripercussioni anche sul destino di Seneca: Caligola, infatti, lo condannò a morte perché pare fosse invidioso dei suoi successi retorici; Claudio invece lo relegò in esilio in Corsica, accusandolo di adulterio con una principessa della casa imperiale. L’esilio durò otto ani dal 41 al 49d.C; durante questo periodo Seneca scrisse due consolationes, quella Ad Helviam matrem per consolarla del triste momento, e quella Ad Polybium, il potente liberto di Claudio, per consolarlo della perdita del fratello, ma con l’intento di avere un intercessione da parte sua presso l’imperatore per la revoca dell’esilio. Questa arrivò invece per l’intervento di Agrippina ( seconda moglie di Claudio e madre di Nerone), che volle Seneca come il consigliere e maestro da affiancare al figlio. Alla morte di Claudio, Nerone diventò imperatore sotto la guida di due capaci consiglieri, Seneca, appunto, e Afranio Burro, il prefetto del pretorio. In veste di precettore di Nerone, Seneca cercò di indirizzare il giovane imperatore verso un governo saggio e oculato, ma il suo progetto fallì, poiché ben presto Nerone si sottrasse all’influenza del filosofo, attratto sempre più dalla via del dispotismo regale di stampo orientale. Gli anni dal 55 al 59 videro la corte imperiale teatro di trame politiche e di uccisioni: tra le vittime illustri Britannico, il fratellastro, e la stessa Agrippina. Nel 62 il filosofo chiese di ritirarsi a vita privata: da allora si dedicò agli studi, componendo un trattato filosofico scientifico, le Naturales Quaestiones e le Epistulae ad Luculium. Pochi anni dopo, coinvolto nella congiura di Pisone (65), fu costretto dal principe a suicidarsi : il drammatico racconto della sua morte si trova negli Annales di Tacito. È sbagliato pensare, ad ogni modo, che il terremoto venisse percepito in tutte le culture come un evento fortemente negativo.
Nonostante la sua drammaticità, il terremoto è stato visto anche con una certa neutralità e, a volte, anche con elementi positivi. Nella mitologia giapponese, ad esempio, si narra che Namazu, un enorme pesce gatto, viva sotto l'arcipelago e venga tenuto fermo dal dio Kashima: quando il dio abbassa la guardia, Namazu si agita e provoca un terremoto. Non v'è quindi colpa umana nel fenomeno del terremoto: non è una punizione ne' un capriccio divino, ma un semplice evento spiacevole da cui guardarsi. Il Giappone è la zona abitata della Terra più suscettibile ai terremoti, ed è quindi naturale che ad eventi tanto frequenti come i sismi giapponesi non venga data una connotazione pienamente negativa: la popolazione ha imparato a convivere con l'instabilità della terra, introducendola nella propria cultura come un elemento sì distruttivo, ma neutrale. Una nota positiva la troviamo un un'antica leggenda delle popolazioni peruviane. Esse pensavano che quando Dio visitava la Terra per contare gli uomini presenti, i suoi passi facessero tremare il suolo. Per abbreviarne il compito, la gente usciva di corsa dalle case gridando "sono qui, sono qui!" - ed introducendo nella mitologia il buon senso di abbandonare le abitazioni in caso di terremoto.
Naturales Questiones
Troviamo in Seneca uno dei primi approcci pseudo-scientifici agli eventi come i terremoti. Seneca visse nell'età dei Giulio Claudi: dopo una malriuscita carriera politica, iniziata al concludersi dell'impero di Tiberio, nel 41 d.C. venne relegato in Corsica a seguito di un'accusa di adulterio: vi rimarrà per otto anni. Qui Seneca si avvicinò alla filosofia stoica, di cui si farà, una volta rientrato a Roma, portavoce ed interprete con i suoi scritti filosofici. Spiccano fra questi le Naturales Quaestiones (Questioni Naturali), un trattato scientifico su astronomia, geologia e meteorologia. La scienza di Seneca è subordinata alla filosofia, in particolar modo quella stoica, che vede nel mondo un principio provvidenziale ed immanente completamente indipendente da qualsiasi Dio. L'intento principale è quello di liberare l'uomo dalle superstizioni. Queste, infatti, nascono dall'ignoranza delle cause dei fenomeni naturali e soprattutto dal timore della morte. Le "Naturales quaestiones".Le Naturales quaestiones sono un compendio di scienze naturali diviso in sette libri. Argomenti dell’opera sono: i fuochi celesti (I); i tuoni, i fulmini e i lampi (II); le acque della terra (III); il Nilo e le nubi (IV); i venti (V); i terremoti (VI); le comete (VII). Nel definire il piano della sua opera Seneca divide gli argomenti (2, 1-2) in astronomia (caelestia), meteorologia (sublimia) e geologia (terrena). A introdurre una distinzione fra il campo di interesse delle scienze naturali, già trattate dai filosofi ionico-attici, e quello della meteorologia (alla lettera: "discorso sulle cose del cielo"), fu Aristotele, che compose dei Metereologica, quattro libri (il quarto forse spurio) nei quali il filosofo tratta fenomeni che riguardano le condizioni e i mutamenti dell’atmosfera, dell’aria, dell’acqua e della terra, comprendendovi: via lattea, comete, meteore, piogge e nubi, rugiada e brina, neve e grandine, variazioni climatiche, ma anche il mare, le sorgenti dei fiumi, i terremoti. La meteorologia dunque comprendeva per gli antichi vari fenomeni che per noi rientrano in altri ambiti, quali la geologia o la geografia astronomica. Si occuparono di meteorologia, dopo Aristotele, Teofrasto, suo discepolo, gli Epicurei e, fra gli altri, Posidonio di Apamea. Seneca attingeva la sua materia probabilmente a Posidonio e alle raccolte di opinioni dei filosofi ("dossografie"), piuttosto che direttamente alle opere dei filosofi da lui citati nel corso dell’opera, fra cui spiccano i Metereologica di Aristotele. L’esposizione è condotta secondo la struttura già seguita da Lucrezio nel De rerum natura: l’argomento di ogni libro è preceduto da un preambolo più o meno ampio e si chiude con un epilogo, in cui l’autore espone considerazioni di carattere morale. Seneca, conformemente alla mentalità dello scienziato antico, non concepisce lo studio della natura come fine a se stesso, ma in relazione a esigenze etiche: esso per lui deve servire – secondo la concezione epicurea – a liberare l’uomo dalle superstizioni. Queste nascono appunto dall’ignoranza delle cause dei fenomeni naturali e dal timore della morte, che inquina la vita con la coscienza che ogni momento può essere l’ultimo, tanti sono i pericoli che ci sovrastano. Se l’uomo, purificatosi dalla corruzione che lo ottenebra e lo devia, sarà in grado di cogliere tutto questo, si libererà anche dal falso timore degli dèi e del principe, comprendendo che le ire degli uni sono pure superstizioni, mentre le crudeltà dell’altro non possono spaventare chi non teme per la vita. Seneca si mantiene così fedele allo scopo che si era prefisso al momento di abbandonare la politica: giovare all’umanità intera, secondo i dettami della filosofia dei Sestii, abbandonata per seguire la via dell’attività pubblica, di cui ora avverte i limiti e gli errori. L'analisi dei terremoti, fatta nel sesto libro, si mostra quindi come un elemento fondamentale delle Naturales Quaestiones, in quanto questi sono sia immani fenomeni naturali sia portatori di morte e distruzione. In primo luogo Seneca presenta tutte le teorie formulate sino ad allora, in cui è interessante questa sopra presentata, attribuita a Posidonio. Egli aveva già notato due tipi di onde sismiche superficiali: le onde sussultorie (cum terra quatitur et sursum ac deorsum mouetur), quelle che possiamo interpretare come onde P, e quelle di tipo ondulatorio (qua in latera nutat alternis nauigii more), onde S.
Frontespizio dell'edizione aldina delle Naturales Quaestiones di Seneca digitalizzata da BEIC
"Duo genera sunt, ut Posidonio placet, quibus mouetur terra. Utrique nomen est proprium: altera succussio est, cum terra quatitur et sursum ac deorsum mouetur, altera inclinatio, qua in latera nutat alternis nauigii more. Ego et tertium illud existimo quod nostro uocabulo signatum est; non enim sine causa tremorem terrae dixere maiores, qui utrique dissimilis est; nam nec succutiuntur tunc omnia nec inclinantur sed uibrantur, res minime in eiusmodi casu noxia; sicut longe perniciosior est inclinatio concussione: nam nisi celeriter ex altera parte properabit motus qui inclinata restituat, ruina necessario sequitur. " (Liber VI – 21)
“Secondo Posidonio, ci sono due tipi di terremoto. Ciascuno ha un suo nome specifico: uno è il moto sussultorio, quando la terra è scossa e si muove dal basso verso l’alto e viceversa, l’altro è il moto ondulatorio, in cui la terra oscilla alternativamente da un lato e dall’altro, come un’imbarcazione. Io, però, credo che ci sia anche un terzo tipo, che è stato designato con una parola latina: infatti, non senza ragione i nostri antenati hanno parlato di un «tremore» della terra, che è diverso dagli altri due, poiché le cose non ricevono una scossa verticale, né oscillano lateralmente, ma vibrano, che in casi di questo genere è il movimento più inoffensivo; così come l’oscillazione è molto più perniciosa della scossa sussultoria: infatti, se non arriva rapidamente dalla parte opposta un moto che rimetta diritte le cose che stanno per cadere, ne consegue inevitabilmente un crollo.”
Spiccano poi le tesi di Anassagora, per il quale causa del terremoto è il fuoco e quelle di Democrito ed Epicuro, che danno motivazione del sisma a più elementi. Seneca, dal canto suo, si dice d'accordo con Metrodoro di Chio, Callistene e molti altri, che in un modo o nell'altro trovano nell'aria presente nel sottosuolo la causa del terremoto. “Quando l’aria con la sua grande forza ha riempito completamente una cavità sotterranea e ha cominciato a lottare e a cercare una via d’uscita, colpisce più frequentemente proprio le pareti fra le quali è nascosta, sopra le quali sono talvolta situate delle città. Queste pareti a volte ricevono delle scosse tali che gli edifici sovrastanti crollano, a volte il terremoto è così forte che le pareti che sorreggono tutta la volta della cavità rovinano sullo spazio vuoto che si apre sotto e intere città sprofondano nell’immensa voragine.” (Liber VI – 25)
Terremoto del 62 d.C.
Il terremoto è stato registrato il 5 febbraio del 62 e l'epicentro è stato localizzato all'interno di una faglia sul lato meridionale del Vesuvio, nei pressi della zona stabiana: è stato ipotizzato che questo terremoto potesse essere collegato alla futura eruzione del Vesuvio del 79, ma tale supposizione non è stata mai confermata. Il terremoto ebbe un'intensità stimata tra il V ed il VI grado della scala Mercalli e si verificò ad una profondità di circa sei o sette km. Dopo la scossa principale, ne seguirono altre di assestamento nei giorni successivi. Le città che subirono la maggior parte dei danni furono ovviamente quelle nelle vicinanze dell'epicentro e quindi Pompei, Ercolano e Stabiae, ma altri danni si verificarono anche a Napoli e Nocera. Numerosi furono i crolli, così come testimoniato dagli scavi archeologici, tanto che al momento dell'eruzione del 79, numerosi edifici erano ancora disabitati ed in fase di ristrutturazione oppure presentavano segni di recenti ammodernamenti: addirittura nella casa di Lucio Cecilio Giocondo, sono stati ritrovati dei bassorilievi che riproducono il Foro, Porta Vesuvio ed il tempio di Giove, a seguito dei danni subiti dal terremoto. Seneca parlò del terremoto del 64 nel sesto libro delle Naturales quaestiones: « Ho appreso, ottimo Lucilio, che Pompei, l'affollata città della Campania situata là dove si congiungono da una parte le coste di Sorrento e di Stabia, dall'altra quelle di Ercolano e cingono con un golfo ameno il mare che dal largo lì si ritrae, è crollata in seguito a un terremoto che ha causato danni in tutta la zona circostante… e ha devastato con ingenti rovine la Campania, mai al sicuro da una simile calamità, ma finora incolume, se pure tante volte attraversata da paura. » Dal libro si deduce della morte di un gregge di seicento pecore dovuto agli effetti di gas asfissianti, mentre poco o nulla si conosce su possibili perdite di vite umane.