Qualche definizione:
marcita [mar-cì-ta]: s.f. AGR. Terreno prativo che nella stagione invernale viene costantemente tenuto sotto un velo d'acqua in modo da impedire il raffreddamento della superficie e consentire così all'erba di crescere anche a temperature molto basse. Zona prativa naturalmente molto umida, ricca di erbe grasse (da Hoepli.it Dizionario italiano).
marcita s. f. [voce dei dial. lomb., der. di marcire]: Speciale coltura pratense diffusa in partic. nella pianura padana, a valle della linea delle risorgive permanenti (in Lombardia e, meno, in Piemonte), e nei dintorni di Norcia (in Umbria), sulla quale si pratica l’irrigazione anche in inverno, adoperando l’acqua delle risorgive stesse (avente temperatura di 8-12 °C): questa, scorrendo ininterrottamente sul terreno, impedisce il raffreddarsi del rivestimento erboso del prato, che continua a crescere anche se la temperatura dell’aria è molto bassa (da Treccani.it).
Come si avvia e come si coltiva una marcita, dal punto di vista agronomico?
Il cosiddetto prato marcitoio o marcita s’impianta sistemando il terreno a “doppia ala”, per permettere il flusso continuo delle acque, normalmente dopo la raccolta del mais o del riso, quindi in autunno. Alla semina si procede in primavera in genere con avena, loietto e trifoglio ladino oppure con altri miscugli: l’inerbimento spontaneo provvederà poi a completare la flora del prato (vedi lavoro Mannerucci). Si perfezionano la rete dei canali adacquatori e la sistemazione del terreno per almeno due anni: solo al terzo anno dall’impianto in autunno ha inizio la sommersione invernale, con turni di adacquature, fino a raggiungere lo scorrimento continuo invernale. Sempre in autunno si eseguiranno i lavori di manutenzione della marcita cioè rullature, sistemazione superficiale delle “ali”, eventuale concimazione con sali azotati. L’irrigazione viene sospesa per 8-12 giorni ( periodo di asciutta) per i periodici sfalci che possono essere fino a 8-9 per anno nei casi migliori ma sempre almeno 4-5 nel periodo invernale. Si ottengono circa 500 quintali di erba, utilizzati per l’alimentazione invernale dei bovini da latte e 140-150 quintali di fieno. Dal governo dell’acqua, dallo spurgo dei fossi, dai riattamenti delle “ali” dipende la buona resa della marcita….si può ora comprendere la difficoltà del mantenimento di questa pratica colturale (Da Coltivazioni erbacee di A.Grimaldi – Ed.Agricole Bologna).
Perché oggi le marcite sono quasi scomparse?
Oggi il significato agronomico della marcita e dell’erba ivi prodotta come alimento del bestiame bovino è scomparso perché sono cambiati i sistemi di alimentazione e quindi non c’è più interesse da parte degli agricoltori a mantenere le marcite, pratica colturale oltremodo faticosa da attuare, non potendo impiegare completamente i mezzi meccanici, dato il particolare assetto a “valli e dossi” tipico dei campi dedicati a questo tipo di coltivazione. Il Parco del Ticino, poiché le marcite oggi sono molto importanti per il loro valore storico-tradizionale, paesaggistico e faunistico, coordina ormai dagli anni Ottanta gli agricoltori allo scopo di mantenere circa 300 ettari di marcite come testimonianza di questa antica,tipica, coltura lombarda. A tale proposito esiste un ” Regolamento Mantenimento Marcite”. L’adozione di buone pratiche agronomiche (es. la rotazione agraria delle colture) nella conduzione dei terreni agricoli contribuisce alla conservazione di un livello di biodiversità quasi unico nella pianura padana e al mantenimento degli elementi tipici del paesaggio agrario della pianura di Lombardia: tra le altre buone pratiche attuate si possono ricordare la concimazione organica nel rispetto della Direttiva Nitrati (per quanto riguarda l’apporto di Azoto) la riduzione delle concimazioni chimiche e dei trattamenti antiparassitari, il mantenimento o la creazione di siepi, filari o boschetti (da Parcoticino.it).