Giulia Di Marco
La salubrità dell'aria

L'ode La salubrità dell'aria fu letta da Parini all'Accademia dei Trasformati nel 1759, durante una seduta pubblica avente come tema principale l'aria. Questa fu poi pubblicata nel 1791 all'interno della raccolta delle Odi messa insieme da Agostino Gambarelli, con l'approvazione del poeta.

Di seguito la parafrasi dei vv. 67-84.

La natura fu generosa anche con la città superba (Milano), donandole un bel cielo e un’aria pulita: ma chi preserva questi bei doni tra il lusso, l'avarizia e la stolta pigrizia? Ahimè! Non bastò che Milano avesse attorno putride distese d'acqua, anzi per aggravare la situazione furono anche inondati i prati di acqua, portandoli a marcire. E la salute pubblica fu sacrificata per nutrire pariglie di cavalli, in cui si manifesta l'ambizione dei padroni, che con crudele ostentazione di lusso calpestano per le ampie strade i popolani che cadono.

Analisi degli elementi:

  Campagna Città
Ambiente
  • “beato terreno” (v. 1)
  • “etere vivace” (v. 9)
  • “bel paese” (v. 15)
  • “clima innocente” (v. 44)
  • “pure linfe” (v. 50)
  • “vivo e schietto aere” (v. 125-126)
  • "oziose acque” (vv. 26-27)
  • “fetido limo” (v. 27)
  • “orribil bitume” (v. 33)
  • “putridi stagni” (v. 74)
  • “aria lenta” (v. 94)
  • “aura molesta” (v. 114)
Abitanti
  • “beata gente” (v.46)
  • “vegeta e robusta” (v. 48)
  • “non mai stanchi” (v. 55)
  • “baldanzosi fianchi” (v. 57)
  • “ardite villane” (v. 58)
  • “bel volto giocondo” (v. 59)
  • “fortunate genti” (vv. 61-62)
  • “mortali pallori” (v. 38)
  • “languenti cultori” (v. 40)
  • “popolo che cade” (v. 84)
  • “stolto!” (v. 119)
Economia
  • “di fatiche onusta” (v. 47)
  • “crescente pane” (v. 56)
  • “per lucro ebbe a vile la salute civile”(vv.29-30)
  • “mal nato riso” (v. 39)
  • “lusso e avarizia” (v.71)
  • “comun salute sacrificossi al pasto d'ambiziose mute” (vv. 79-81)

1. In quest'ode è chiara l'adesione di Parini alla corrente filosofica del Sensismo, secondo la quale l'uomo conosce la realtà esterna principalmente attraverso i sensi; il poeta evidenzia questa adesione tramite l'uso di vocaboli precisi e ben definiti, capaci di suscitare immagini concrete. Nello specifico, queste sensazioni immediate possono essere sia positive, se legate al mondo della campagna, sia negative, se riferite alla città. Nel primo caso, nell'ottava e nona strofa si concretizzano immagini dell'ambiente e degli abitanti della Brianza; in particolare Parini descrive la fisicità dei contadini, con espressioni come "membri non mai stanchi", "baldanzosi fianchi", "bel volto giocondo/tra il bruno e il rubicondo". Inoltre nei vv. 85-90 è ben chiaro lo stimolo del senso olfattivo nel riferimento a "il timo e il croco/e la menta selvaggia" che "l'aereo per ogni loco/de' vari atomi irraggia", con il ricorso al termine scientifico "atomi" (v. 88), inteso a suscitare forti emozioni, in accordo con il realismo della materia trattata. Il poeta ricorre al senso dell'olfatto anche per descrivere la realtà negativa di Milano, dove "al piè de' gran palagi/il fimo alto fermenta;/e di sali malvagi/ammorba l'aria lenta" (vv. 92-94); "Quivi i lari plebei/da le spregiate crete/d'umor fradici e rei/versan fonti indiscrete/onde il vapor s'aggira,/e col fiato s'inspira" (vv. 97-102); e sempre per le vie di Milano le carcasse abbandonate degli animali "degli aliti corrotti/empion l'estivo die" (vv. 105-106), mentre la notte "le vaganti latrine/con spalancate gole" spargono per la città "l'aura molesta" (vv. 110-114). È evidente come in questi versi Parini inserisca particolari, volutamente crudi, al servizio della propria battaglia illuministica: egli non si limita a denunciare il degrado della città, ma ne individua i diretti responsabili e li richiama ai propri doveri, in nome del bene pubblico. In questo modo, il gusto per le immagini realistiche, che proviene al poeta dal sensismo, si unisce agli intenti di utilità sociale propri della sua poesia.

2. Secondo Parini, la sua opera e la sua poesia devono percorrere una strada trascurata da tanti altri, cercando sempre di unire l'utile al dilettevole canto, cioè al piacere della bella forma. Proprio per quest'ultimo motivo lo stile di Parini è stato definito classicista, a causa dell'utilizzo di termini raffinati e latinismi; in realtà l'autore, nell'aderire al principio oraziano della mescolanza dell'utile alla dolcezza del canto, non risponde semplicemente ad un noto principio poetico, ma lo carica di un senso nuovo, in nome dei principi illuministici che lo ispirano. In accordo con quanto afferma il poeta stesso nel Discorso sopra la poesia, il principale testo teorico della poetica pariniana, il diletto del canto "lusinghevol" è da intendere in primo luogo in accezione sensistica, in quanto la poesia deve essere in grado di procurare sensazioni vive ed intense, in grado di scuotere l'animo dalla propria inerzia e portarlo ad una conoscenza profonda e completa della realtà. A questo si unisce l'accezione classica del termine: il canto risulta "lusinghevol" perché formalmente perfetto, sottoposto al labor limae di oraziana memoria. In base a questo duplice intento, possiamo ritrovare nell'ode vari esempi di stile classicheggiante: al v. 2 il poeta utilizza il termine "Eupili", l'antico nome latino del lago di Pusiano; al v. 10 l'aggettivo “egri”, al v. 47 “onuste”, al v. 106 il sostantivo “die” e al v. 112 il verbo “lustran” sono tutti latinismi. Il poeta ricorre anche ad immagini mitologiche, come per esempio il riferimento alle divinità romane protettrici della casa e alla dea Temi. Fanno invece riferimento al tema dell'utilità sociale termini come “salute civile” (v. 30), “lucro” (v. 29), “leggi” (v. 115) o vocaboli scientifici, come "polmone" (v. 7), "atomi" (v. 88) e "sali" (v. 93).

3. Ai versi 44 e 68 vengono riferiti alla città e alla campagna aggettivi attribuiti solitamente alle persone. Questo sta ad indicare come gli abitanti abbiano una enorme influenza sull'ambiente e sul luogo in cui vivono. La gente campagnola di animo buono, tanto amata da Parini, anche in ragione del suo aderire alle teorie fisiocratiche, permette di affidare alla campagna l'aggettivo “innocente” (v. 44). Qui l'aria è pulita, sana, letteralmente non nociva e permette ai contadini di avere una vita migliore, estranea all'avarizia. I cittadini invece, soliti a perseguire il lucro e la convenienza personale, fanno sì che la città venga chiamata “superba” (v. 68). Questa non è stata in grado di apprezzare i doni della natura, ma si è fatta trascinare dal lusso e dall'avarizia, ammorbando così l'aria. Coloro che si sono abbandonati all'avarizia sono stati i nobili che ostentano con crudeltà la loro ricchezza e lasciano che i cittadini si ammalino in nome del loro guadagno. Ritroviamo perciò, come poi nel Giorno, un confronto tra il contadino, il lavoratore, nobile di animo e l'attuale nobiltà, improduttiva e dedita al lusso e all'avarizia.

4. È individuabile un filtro letterario, evidente ai vv. 61-62 nell'espressione “oh fortunate genti”, in cui Parini richiama le Georgiche di Virgilio. Questo ci porta a dire che i contadini pariniani, nonostante il manifesto intento del poeta di aderire al vero, vengono idealizzati e la figura dell’autore viene mostrata come quella del letterato che cerca nella campagna un luogo di evasione. Anche nei vv. 49-54 è evidente un rimando alla poesia virgiliana: Parini, disteso "sotto ad una fresc'ombra" che "con la mente sgombra" celebra "col verso/i villani vispi e sciolti/sparsi per li ricolti" è facilmente paragonabile al pastore Titiro della prima egloga che all'ombra di un ampio faggio, sullo zufolo agreste, canta la bella Amarillide.

Approfondimento

Vengono riportate di seguito analogie e differenze tra gli scrittori Pietro Verri e Giuseppe Parini.

Pietro Verri, illuminista “estremista”, nacque a Milano nel 1728 e fu l'animatore del gruppo di intellettuali che si riunì intorno all'Accademia dei Pugni, dando vita in seguito al noto periodico Caffè. Fu filosofo, funzionario pubblico ed economista e, grazie a queste cariche, riuscì a promuovere riforme mirate a ridurre la corruzione statale. Disdegnò la classe aristocratica, pur appartenendovi, e propose la sua eliminazione a favore della classe borghese, vista come il motore del futuro sviluppo economico della Lombardia. Condusse anche studi sull'agricoltura; ricordiamo il suo saggio Sulle leggi vincolanti principalmente il commercio de'grani del 1769, dove diede il suo appoggio alla coltivazione del grano o del frumento, non nocivi per l'ambiente, contrariamente al riso. In campo politico invece il suo consenso andava alla monarchia costituzionale, vista come tramite per avviare un governo democratico. In qualità di filosofo e letterato aderì al pensiero sensista, il quale riteneva le sensazioni le fonti esclusive della conoscenza, riportando quest'idea all'interno delle sue opere, in nome di una poetica "fatta di cose, non di parole". I suo articoli pubblicati sul Caffè, così come quelli del fratello Alessandro, mostrano il suo consenso al cosmopolitismo, la sua apertura ai forestierismi linguistici e l'avversione al classicismo. Verri infine non fu religioso: credeva piuttosto in un essere supremo regolatore del mondo, in linea con il deismo illuminista.

Giuseppe Parini invece nacque a Bosisio, in Brianza, nel 1729 e fece parte dell'Accademia dei Trasformati; fu dunque un illuminista moderato. La prozia decise di donargli una piccola rendita annua a patto che egli si facesse sacerdote; così prese gli ordini in gioventù e, anche in seguito, fu sempre avverso al deismo illuminista, nella convinzione che la religione potesse essere un utile instrumentum regni, oltre che un indispensabile mezzo per la salvezza dell'anima. In qualità di letterato impegnato in battaglie di utilità sociale, gli fu affidata dal governo austriaco la direzione de La Gazzetta di Milano; fu inoltre precettore di nobili famiglie milanesi e successivamente, grazie al successo del Mattino e del Mezzogiorno, ottenne prima la cattedra di "belle arti" alle Scuole Palatine e poi la sovrintendenza di Brera. Al pari dei fratelli Verri o di Cesare Beccaria, anche Parini può essere considerato un collaboratore del governo illuminato di Maria Teresa d'Austria, ma a differenza di costoro, il suo piano di riforme fu moderato. In campo sociale Parini accusava la nobiltà di essere oziosa, nel senso italiano del termine, ma non ne proponeva la sostituzione con una nuova classe borghese imprenditoriale; sosteneva invece la necessità di rieducare la classe aristocratica, affinché desse il suo contributo alla società a livello militare o culturale, al fine di meritarsi nuovamente i privilegi di cui godeva. Riuscì a descrivere dettagliatamente la vita dell'aristocratico nella sua opera più famosa, Il Giorno, colpendola da un lato col suo sarcasmo e con la sua ironia, ma al tempo stesso indugiando con segreto compiacimento sull'eleganza e sulla raffinatezza di questo mondo: proprio questa ambiguità, questo continuo oscillare tra edonismo e moralismo, gli fu rimproverato da Pietro Verri, che lo accusò di desiderare di far parte di quel mondo che apparentemente voleva riformare. Una simile ambiguità si risconta anche in campo economico: egli aderì alla fisiocrazia, che riteneva l'agricoltura l'unica fonte di ricchezza, perché era l'unica attività che produceva dei beni, mentre l'industria e il commercio si limitavano a trasformarli e scambiarli; nel sostenere questa tesi però Parini sembrava non rendersi conto che porre l'agricoltura come base dell'economia significava continuare a difendere i privilegi dei nobili, che traevano da essa il loro sostentamento. I suoi scritti ci lasciano intendere la sua volontà di conciliare la cultura moderna con la tradizione classica e, dunque, di unire l' “utile” al “lusinghevol canto”, non condividendo quindi una concezione prettamente utilitaristica della letteratura; a ciò si collega anche la sua avversione verso il cosmopolitismo, nel timore che l'assorbimento entusiasta e indiscriminato della cultura francese arrivasse a snaturare la cultura italiana e compromettesse la purezza della lingua, con una massiccia introduzione di forestierismi. Si può quindi cogliere la peculiare posizione dell'autore nell'ambito dell'Illuminismo lombardo. Paradossalmente solo negli ultimi anni del '700 le posizioni di Parini e Verri si andarono avvicinando, nel comune rifiuto della degenerazione assolutistica della politica di Giuseppe II e nella denuncia degli orrori che seguirono la Rivoluzione Francese, scaturita da quegli ideali illuministi in cui entrambi, seppur in modo diverso, avevano creduto.