Federica Cervio
Lonardo scrittore

Traccia da svolgere: "È nota la definizione che Leonardo diede di se stesso, ossia di “omo sanza lettere”(“So bene che, per non essere io letterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere” (Codice Atlantico, folio 119, verso A). Eppure i biografi a lui contemporanei ci parlano di un Leonardo parlatore forbito ed affascinante, attore nato per facilità di narrazione e gestualità, per fantasia e facondia. Vasari sostiene addirittura che Leonardo si sia presentato alla corte di Ludovico il Moro in qualità di cantore e suonatore di lira.Si esaminino i testi di seguito riportati: sono leggende, indovinelli, favole e pensieri, legati al tema dell’acqua. Si proceda ad una loro analisi contenutistica e stilistica, che permetta di individuare i legami e le peculiarità della produzione di Leonardo in rapporto alla letteratura della sua epoca".

Della prosa e della scrittura di Leonardo si iniziò a parlare solo nel corso dell’Ottocento, quando vennero riscoperti e pubblicati molti dei suoi manoscritti e, per quanto concerne gli scritti letterari, vennero realizzate le prime raccolte antologiche. Nel corso del Novecento fiorirono molti studi sull’autore e anche Italo Calvino trattò di Leonardo scrittore nelle sue Lezioni Americane. Non deve sorprendere l’interesse di Calvino per Leonardo, considerando la comune passione per le favole. E proprio sull’analisi di alcune fiabe di Leonardo lo studioso si sofferma, sottolineando innanzitutto la frequente compresenza di testo scritto e immagini. Leonardo ragionava per immagini e nella sua scrittura si sforzava di rendere tutta la fisicità del soggetto; nota Calvino come “anche in certi brevi testi [Leonardo] ha cercato di descrivere attraverso faticate varianti l’avvampare del fuoco o il grattare della lima”[I. Calvino, Saggi 1945-1985, Mondadori, 1995, pp.1401].

Calvino definì la scrittura di Leonardo come una battaglia con la lingua, un faticoso processo di avvicinamento che, a livello di elaborazione testuale, si basava sulla tecnica della riscrittura e diventava, ad un certo punto, un preciso strumento conoscitivo: “di tutti i libri che si proponeva di scrivere, quello che più lo interessò fu il processo di ricerca che il componimento vero e proprio”[I. Calvino, Saggi, cit. p. 694 ]. In Leonardo è visibile infatti il rifiuto di qualsiasi forma di struttura “chiusa”. La testualità rimane aperta ad ogni tipo di perfezionamento.

Forse è proprio per questo che di Leonardo scrittore non possediamo nessuna opera veramente compiuta; anche i suoi testi più noti (il Trattato della pittura e lo studio Del moto e misura dell’acqua) sono in realtà compilazioni postume, elaborate da suoi discepoli o da studiosi successivi, sulla base di brani estratti dalle carte leonardesche.

Anche le sue favole non costituiscono un corpus unico, ma sono disseminate nei suoi manoscritti, spesso riscritte e corrette più volte e accompagnate dagli immancabili schizzi del soggetto: solo negli anni ’70 del secolo scorso la casa editrice Giunti le presentò per la prima volta al mondo intero. Secondo i biografi a lui contemporanei, il repertorio favolistico di Leonardo era inesauribile; la sua abilità di narratore si rifaceva ai modelli antichi, da Esopo a Fedro, da Plinio ai bestiari medievali. In linea con quelle dei suoi predecessori, anche le storie di Leonardo avevano sempre fini morali, anch'esse avevano per protagonisti animali, piante o elementi naturali e anche in esse l'uomo appariva sempre come elemento guastatore o, per lo meno, inconsapevole.

Gran parte delle favole narrate da Leonardo sono di sua personale creazione; egli ne annotava in maniera succinta gli spunti sui suoi taccuini, ricostruendone poi verbalmente, quando necessario, il tessuto narrativo. È proprio questo uno dei motivi per cui alcune di esse risultano di difficile interpretazione. Molte storie si rifanno poi alla tradizione popolare dei suoi tempi, forse raccolte presso quei contadini, artigiani e commercianti che Leonardo non disprezzava di frequentare.

Si analizzano di seguito alcune note favole di Leonardo, legate al tema dell'acqua.

Il lilio

“Il lilio si pose sopra la ripa di Tesino, e la corrente tiròla ripa insieme col lilio”. (Codice H, fol. 44 recto) Questa leggenda, che era la più conosciuta del repertorio leonardesco, soprattutto nei territori del ducato di Milano, rappresenta una delle espressioni letterarie più controverse di tutta la sua produzione; sul suo vero significato si è disputato e si continua a disputare da secoli. Per meglio comprenderla, è interessante analizzare la trascrizione che ne fa Bruno Nardini [Bruno Nardini, Favole e leggende di Leonardo da Vinci, riscritte e interpretate da Bruno Nardini, Firenze, Giunti 1987 ]: "Sulla verde riva del fiume Ticino era cresciuto un bel fiore di giglio. Alto e diritto sul suo stelo, il fiore rispecchiava i suoi bianchi petali nell'acqua; e l'acqua se ne volle impadronire. Ogni onda che passava portava con sé l'immagine di quella bianca corolla, e trasmetteva il proprio desiderio alle onde che dovevano ancora arrivare a vederlo. Così tutto il fiume cominciò a fremere, le onde diventarono veloci ed inquiete; e non potendo cogliere il giglio, ben piantato nel suolo e cos ìalto sullo stelo robusto, si avventarono furiose contro la sponda, finché la piena non trascinò giù tutta la riva e con lei anche il giglio puro e solitario". Questo racconto fu considerato, già all’epoca della sua composizione, un’allegoria dell’epopea sforzesca: il giglio rappresenterebbe Ludovico il Moro, mentre nel fiume ingrossato è possibile scorgere i nemici dello Sforza. Altri, però, hanno voluto identificare nel fiore lo stesso Leonardo, alle prese con le schiere dei suoi denigratori, che avrebbe quindi voluto tracciare di sé un pessimistico autoritratto. Altri ancora pensano che la morale vada interpretata soltanto come il triste destino a cui sono soggette tutte le cose belle e nobili. Un'ultima ipotesi, formulata dalla critica più recente, immagina che questo possa essere anche solo lo spunto iniziale per una favola più ampia e particolareggiata che lo scrittore avrebbe voluto poi comporre, ma che, come molti progetti di Leonardo, non fui mai portata a termine.

Il torrente

“Il torrente portò tanto di terra e pietre nel suo letto, che fu po’costretto a mutar sito”. (Codice Arundel, fol. 42 verso). Questa favola racconta di un torrente che, dopo aver portato nel suo letto tanta terra e sassi, sperando di poter di poter diventare grande quanto un fiume, dovette scavarsi con fatica un nuovo letto. È evidente qui la classica morale del “chi troppo vuole nulla stringe”, così come è altrettanto certa la pena per colui che crede di poter migliorare il proprio stato con sotterfugi e inganni.

L’acqua

“Trovandosi l’acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l’aria, e confortata dal foco elemento, elevatasi in sottile vapore, quasi parea della sittigliezza dell’aria; e montata in alto, giunse infrall’aria piùsottile e fredda, dove fu abbandonata dal foco; e piccoli granicoli, sendo ristretti, già s’uniscano e fannosi pesanti, ove, cadendo, la superbia si converte in fuga, e cade dal cielo; onde fu poi beuta dalla secca terra, dove, lungo tempo incarcerata, fe’penitenza del suo peccato”. (Codice Forster III, fol. 2, recto) Questa favola parla dell’acqua del mare, alla quale viene voglia di salire in cielo e così, scaldata dal sole, si trasforma in vapore. Salendo, il vapore si trasforma a sua volta in pioggia che cade dal cielo e va a bagnare la terra secca, restando al suo interno intrappolata. Assistiamo nel racconto alla punizione che viene data all’acqua, a causa della sua superbia. Ma ciò che colpisce di più in questa favola è il grande realismo conferito alla scena da pochi, ma efficaci particolari; si dimostra qui come la narrativa vinciana raggiunga il suo apice quando può coniugarsi con le conoscenze naturalistiche dell'autore, che gli permettono di realizzare rappresentazioni puntuali e immediate, non prive di rigore scientifico.

Pensieri

“L’acqua che tocchi de’fiumi è‘ultima di quella che andò, e la prima di quella che viene; così è il tempo presente”. In questo pensiero, il tempo presente viene paragonato all’acqua del fiume che si tocca: il presente èun attimo ("l'acqua che tocchi") sospeso tra gli abissi del passato ("l'acqua che andò") e del futuro ("l'acqua che viene"). È la tipica riflessione sul tempo, presente già in Seneca e Sant'Agostino, che Leonardo conduce sempre a partire dall'osservazione del dato naturale. “L’acqua piove, la terra la sorbisce per necessità d’amore; el sole la solleva non per necessità ma per potenzia”. Si cela forse dietro a questo pensiero una critica alla società contemporanea e al rapporto che l'artista aveva con essa: se immaginiamo Leonardo nascondersi nel simbolo dell'acqua, possiamo vedere nella terra che assorbe l'acqua con amore un'immagine della sua accoglienza presso il popolo, che avveniva senza doppi fini, solo per una spontanea ammirazione verso il suo genio, mentre nel gesto del sole che solleva l'acqua per manifestare la sua potenza si può scorgere il rapporto di mecenatismo che egli ebbe coi potenti dell'epoca, generoso, ma al tempo stesso interessato. Dall’analisi delle sue novelle e in linea con la definizione che Leonardo stesso diede di sé (“omo sanza lettere”), possiamo ricavare i caratteri significativi della sua scrittura: l’ortografia non coerente, il lessico toscano con una traccia fonetica lombarda, l’andamento sintattico semplificato, che predilige la coordinazione alla subordinazione e tende a fissare il pensiero in forme brevi, ricche di anacoluti. Da ciò possiamo dedurre l’appartenenza di Leonardo, ignaro delle lingue classiche e estraneo alla produzione letteraria dell’Umanesimo, all’ambiente “illetterato”formato principalmente da artisti e tecnici. Lo stile asciutto, la predilezione per i proverbi e gli aforismi, il carattere sentenzioso delle sue frasi mostrano infatti evidenti legami con il genere della precettistica delle arti, caratterizzata appunto da ammonimenti chiari e precetti brevi, talvolta sotto forma di proverbio o in rima, per facilitarne la memorizzazione. D’altra parte, il gusto di Leonardo per le favole, gli indovinelli, le profezie e il genere bestiario, mostrano la sua vicinanza allo stile comico-burlesco della letteratura popolare del Quattrocento che, a differenza della produzione colta legata all’Umanesimo, conserva tracce della letteratura allegorica ed enciclopedica tardo-medievale. Oggi, in un’epoca in cui la velocità di comunicazione e di ricezione di ogni tipo di messaggio dà vita a forme di testualità, per così dire, in “movimento”, il lettore moderno, nelle favole di Leonardo, apprezza soprattutto la leggerezza, la rapidità e il continuo confronto tra i linguaggi (in particolare tra il linguaggio verbale e il linguaggio iconico).