Olga Cavallazzi
Un soggetto naturale: le marcite

Le marcite sono campi perennemente irrigati da un corso di acqua corrente; il loro nome deriva dall’abitudine di lasciare a marcire l’ultimo taglio invernale del campo. Esse sono state da sempre utilizzate per poter nutrire il bestiame con erbe fresche anche di inverno e probabilmente tale tecnica di irrigazione, esistente già nella latinità, fu perfezionata dai monaci dell'abbazia di Viboldone, nel milanese. In quanto caratteristica del paesaggio lombardo e padano, è logico che questa realtà sia divenuta molte volte oggetto di opere della letteratura e dell'arte, frutto dell’ingegno di artisti che hanno vissuto la realtà lombarda di questi campi irrigati. Gli autori e gli artisti che espressero la propria visione riguardo questa pratica di irrigazione, ne sottolinearono di volta in volta l'aspetto paesaggistico o quello economico.

Se nel quadro Risaja di Luigi Steffani il paesaggio viene descritto con l’amore di un pittore lombardo, riproducendo persino le trasparenze dell’acqua e la nebbia (vd.: Risaja, Luigi Steffani, olio su tela 1864, Galleria d’Arte Moderna, Milano, nell'immagine a fianco) e dando un’immagine positiva delle marcite, suggerita dai vividi colori utilizzati, Giuseppe Parini scaglia parole durissime contro gli sconosciuti inventori di questo tipo di irrigazione: “Pèra colui che per primo a le triste oziose acque e al fetido limo la mia cittade espose” (vv 67-72, La salubrità dell’aria, Giuseppe Parini, 1761); l’autore invoca addirittura la morte per loro, in quanto hanno rovinato la sua città, ovvero Milano, poiché ora le marcite la circondano fin sotto le mura, minandone la salubrità dell’aria.

Altri autori sono invece meno espliciti nell’esprimere la loro idea: ad esempio, Delio Tessa scrive: “Nebbia! Nebbia, ven su! Vólzet fumeri di riser, di marscit! impattònom Milan, sfóndomel sott! (ovvero Nebbia! Nebbia, vieni su. Alzati, fumea delle risaie e delle marcite! avvolgimi Milano nella tua coltre, sprofondamelo sotto)” (A Carlo Porta, Delio Tessa, 1932).

Difficile dire quale sia l’intenzione nello scrivere questi versi: Tessa sta pregando, quasi rendendola umana, la nebbia e le chiede di alzarsi e avvolgere Milano, che “suona e balla a Carnevale” (A Carlo Porta, Delio Tessa, 1932). A una prima lettura, sembrerebbe che Tessa sia affascinato da questo tipico paesaggio lombardo caratterizzato da una nebbia tanto fitta, ma dietro queste parole è possibile che si celi un’ironia marcata, che cambierebbe totalmente il significato di questo componimento; perché quest’ “inno alla nebbia” è forse un po’ troppo forte per essere sincero e perché il poeta, volendo Milano immersa nella nebbia, sembrerebbe screditarla, definendola vecchia e corrotta.

Se letterati e artisti espressero opinioni contrastanti sulle marcite e sul loro modo di caratterizzare o rovinare il paesaggio lombardo, anche nell'analizzare la loro valenza economica non furono tutti concordi. Leonardo, ad esempio, è sicuramente convinto che esse costituiscano un punto di forza e di ricchezza per il territorio e, nel suo modello della “Scala ad Acqua”, illustra come creare la giusta pendenza tra i diversi campi, in modo che l’acqua continui a scorrere tra le marcite, senza diventare stagnante; limitandosi al lato pratico legato al funzionamento dell’irrigazione, tenta di migliorare questo sistema, per renderlo più produttivo. Anche Parini riconosce che le marcite sono state create per una pura utilità lucrativa, ma ne sottolinea gli aspetti negativi, piuttosto che quelli positivi: infatti, dopo aver criticato gli ideatori della tecnica, spiega che essi hanno disprezzato la salute pubblica per un loro personale interesse.

Riprendendo l’esempio della Risaja di Steffani, l’autore, che si inserisce a pieno titolo nelle corrente della pittura realista di fine Ottocento, sceglie di porre in evidenza entrambi i lati delle marcite: se dipinge in modo quasi romantico l’ambiente e il paesaggio della pianura lombarda irrigata a marcite, riconosce anche la loro funzione economica, non celando la fatica dei lavoratori: raffigura infatti un gruppo di donne intente a raccogliere l’erba, sotto lo strato di acqua, costrette a stare con la schiena piegata per ore e i piedi a mollo nell’acqua.

Oggi il valore economico delle marcite sta scomparendo, perché sono cambiati i sistemi di alimentazione del bestiame e non c'é più interesse, da parte dell'agricoltore a mantenerle; di esse si fanno ormai carico i Parchi, come quello del Ticino, che coordina da anni gli agricoltori allo scopo di mantenere circa trecento ettari di marcite, per il loro valore paesaggistico, come testimonianza di questa antica coltura lombarda.

Concludiamo citando un testo di Luisito Bianchi, abate di Viboldone scomparso da pochi anni; egli, dedicando un sonetto alla sua gente e all'abbazia dove probabilmente fu perfezionata la tecnica delle marcite nel XIII secolo, la descrive romanticamente, soffermandosi sul paesaggio e sull’aspetto della natura, che lì prevale su quello architettonico ("sono quarto case, la rossa abbazia/una cascina, l'antica osteria"); il riferimento al luogo come “terra di marcite", unito a una descrizione tanto poetica del paesaggio, dove "braccia infinite di tigli e di pioppi" si stagliano verso un cielo in cui si ammirano "groppi di stelle disposte a quilismi", non possono che far pensare a quanto siano belli e sconvolgenti i campi irrigati a marcite (Vicus Boldonis, Terra di Marcite, Luisito Bianchi, 1993).