La storia delle marcite ha radici molto lontane, legate all’ambiente padano e specialmente a quello milanese. Esso è sempre stato vocato all’allevamento del bestiame, per la grande quantità di foraggio qui prodotta. In epoca Gallica vi erano parecchie praterie irrigue, dovute alla moltitudine di corsi d’acqua superficiali e di paludi e molto probabilmente il metodo di far marcire l’ultimo taglio sul prato, facendo stagnare le acque d’inverno, era praticato fin dall’inizio dell’era Volgare. Questo prato era chiamato “pratum marcidum”, da cui deriva il nome attuale di “marcita”.
Quello delle marcite è stato perciò un tema spesso trattato in ambito artistico e letterario, in opere strettamente legate all’ambiente lombardo.
Secondo un documento ritrovato nel libro dell'agronomo milanese Domenico Berra (“Dei prati del basso milanese" del 1822) e considerato un punto di riferimento imprescindibile per lo studio delle marcite, è possibile datare l’invenzione delle stesse al periodo che precede il XIII secolo, quando questo sistema di coltura venne perfezionato ad opera dei monaci di Viboldone, i quali accrebbero il numero di tagli di foraggio.
In realtà già Virgilio, noto poeta latino, mantovano di nascita e studente prima a Mantova e poi a Milano, descrive nella conclusione della terza egloga un paesaggio a lui certamente noto, che con ogni probabilità è possibile riconoscere come caratteristico della Pianura Padana. Al verso 111 esclama: Claudite iam rivos pueri: pueri, sat prata biberunt. In questo invito si può sicuramente ritrovare una marcata allusione a un paesaggio molto complesso ed evoluto, che includeva sin d’allora la praticoltura accanto alle altre coltivazioni; il che presuppone l’esistenza di una rete irrigua gerarchizzata e dotata di sistemi di regolazione oltre che organizzata secondo una precisa ruota temporale.
Virgilio tuttavia non è l’unico intellettuale a legare la descrizione della marcita al paesaggio lombardo; anche Francesco Petrarca, in una lettera a Guido Sette di Genova del 1360, dichiara di apprezzare l’ambiente di campagna, in cui ha acquistato per il periodo estivo una residenza (a soli "tremila passi dalla città" di Milano), circondata da un’ampia pianura e da numerosi torrenti, piccoli e lucidi, così intrecciati tra loro da rendere difficile lo scorgere di dove vanno e da dove provengono (Fam XVII, 5 Francesco Petrarca, Lettera a Guido Sette di Genova ).
Petrarca descrive questo ambiente, che oggi si vuole identificare con la Cascina Linterno, come un luogo dove è piacevole vivere, “ove l’aria è purissima”e soprattutto lontana dalla città, in cui non è possibile trascorrere giorni tranquilli. Il tema della campagna e delle marcite padane è trattato anche da un altro noto poeta italiano, Giuseppe Parini. Egli sostiene pienamente i principi della Fisiocrazia, secondo cui l’agricoltura è una scelta di vita ed è al centro delle attività sociali.
Nell’ode“Vita Rustica”, del 1756, che apre le cosiddette odi illuministiche, accanto alla tradizionale visione idilliaca della campagna come sede di una vita quieta e serena, si coglie già una nuova prospettiva nel descrivere il lavoro dei contadini, inteso ora come attività produttiva e socialmente utile. La stessa visione della campagna, come mondo laborioso e sano, in contrapposizione al mondo cittadino malsano e corrotto dall’avidità di lucro, torna tre anni dopo nella Salubrità dell’aria: Pèra colui che primo / A le triste oziose / Acque e al fetido limo / La mia cittade espose; / E per lucro ebbe a vile / La salute civile (Giuseppe Parini, La salubrità dell’aria (vv. 67-72).
Al centro dell’ode vi è il problema ecologico, cioè il problema dell’igiene e della salute pubblica, compromesse da chi circonda la città di risaie e di marcite che ammorbano l’aria, e dalla noncuranza di chi lascia fermentare il letame o getta acque putride per le strade. Parini quindi, nonostante esalti pienamente la vita di campagna, fresca, salubre e socialmente utile, critica la presenza delle marcite alle porte della città.
Lo scenario Padano inoltre è rappresentato in maniera alquanto realistica anche nel dipinto Risaja di Luigi Steffani, un olio su tela del 1864 esposto alla galleria d’Arte Moderna di Milano. Frutto del periodo Positivista e di una indagine naturalistica della società, questo quadro riproduce fedelmente l'ambiente, le trasparenze dell’acqua, il senso di umidità, la vegetazione che cresce spontanea in Pianura Padana e nelle valli dell’Italia Settentrionale, ma allo stesso tempo raffigura il duro lavoro svolto dalle umili donne, costrette dalla fatica ad inarcare la schiena, tenendo i piedi in ammollo nel pantano: un'immagine ben diversa da quelle delle "villanelle" pariniane, dai "fianchi baldanzosi" "a cui sì vivo e schietto aere ondeggiar fa il petto" (Giuseppe Parini, La salubrità dell'aria (v. 57; vv. 124 - 126).
In conclusione le marcite Lombarde, nonostante siano state considerate a seconda dei diversi punti di vista degli autori un dono o un danno, sono un tema così importante da trovare sempre spazio nella produzione artistica e letteraria e quindi risultano indubbiamente un elemento caratterizzante del paesaggio della Pianura Padana.