Il Peppo
Scrittore colto e raffinato, Giuseppe Pontiggia attraversa un’accesa fase sperimentale prima di ritornare all’interno dei tradizionali schemi narrativi. Lo fa però in un modo tutto suo, con uno stile personale che vuole forzare i limiti di quegli stessi schemi per raggiungere leggibilità e grande pubblico ma senza rinunciare mai a una certa complessità e ambiguità di fondo.
Uomo di vastissima conoscenza, bibliomane avido e appassionato di libri capace di raccogliere piú di 40 mila volumi, tutti stipati nella propria abitazione. Intellettuale amante dei classici e della tradizione, convinto che i grandi scrittori del passato continuino a mostrarci il vero senso del mondo, svelandocene anche le piú nascoste contraddizioni.
Tutto ciò lo si riscontra nel classicismo della sua lingua, precisa e tersa, nei fulminanti aforismi e nella brevitas espressiva perfettamente adatta al suo spirito da moralista, insofferente a mode e luoghi comuni. Leggiamo cosí pagine in cui dominano misura e rigore. Pagine di una letteratura civile ed etica fortemente critica nei confronti della cultura e di un linguaggio sempre piú mistificante. Un linguaggio che deve essere depurato da preziosismi e banalità per riacquistare il suo pieno significato. Un linguaggio ben piú complesso di quello che appare. «Una stratificazione di significati, di cui quello superficiale deve essere comunque intellegibile».
Concezione della letteratura e del linguaggio che spinge Pontiggia ad una incessante opera di revisione, anche ben oltre la pubblicazione dell’opera stessa. Non è dunque un caso se ha riscritto quasi tutti i suoi libri, convinto che l’opera correttoria non abbia mai fine, «che il romanzo sia sempre suscettibile di ritocchi, correzioni e, si spera, miglioramenti fino alla fine (dell’autore)».