La censura

L’opera di Cecco d’Ascoli presentava aspetti problematici e in conflitto con l’ortodossia dell’epoca. Nell’edizione del 1476, in esemplare unico, conservato presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, alcuni versi appaiono censurati a inchiostro (carta l1v): qui Cecco sostiene che le formule magiche siano efficaci, e, al dubbio dell’interlocutore sulla veridicità di “quelli che fano la notoria arte”, risponde che lui giura “Che in quelle arte son le prece sancte / Et utile secondo il parer mio”. Come si vede nell’immagine retrostante, un lettore dev’essersi trovato in disaccordo con quella che è una difesa dell’Ars notoria, raccolta di preghiere e formule magiche in varie lingue, attribuita a Salomone.

Il brano censurato è leggibile nelle altre edizioni. Da quella del 1478 sappiamo che il testo prosegue così: Son molti gli chiamati et pochi electi/ ad conseguire le virtute tante/ Et contemplar gli divin conspecti.

Cecco d’Ascoli, Acerba, Venezia, Filippo di Pietro, 1476, carta l1v