Alice Marzocchini
Storia e vita culturale a Firenze nell'Ottocento

Al tempo dei Lorena e durante il periodo dell'occupazione francese, si affermò il ruolo di Firenze come centro culturale e mondano, anche se ancora un po' provinciale  La città divenne sempre più meta di viaggiatori stranieri e non, e con l’affermarsi della borghesia la vita dei fiorentini si fece più vivace e piacevole, grazie a nuovi circoli e club, a lodevoli spettacoli teatrali e concerti, ma anche grazie ad intrattenimenti più popolari come il circo o le esibizioni ippiche.
Nella prima metà del XIX secolo, infatti, numerosi personaggi in città tentarono di rianimare la vita culturale e civile della capitale del Granducato; all'inizio degli anni '20 dall'incontro tra Capponi e Vieusseux nacque l'Antologia; negli anni '30, su iniziativa del presidente dell'Accademia dei Georgofili, Cosimo Ridolfi, venne fondata la prima Scuola agraria; l'Accademia della Crusca divenne ente statale sotto la protezione granducale e nel 1843 uscirono i primi fascicoli del nuovo Vocabolario; nel 1841 Vieusseux fondò l'Archivio storico italiano e Leopoldo II istituì il dicastero della Sanità.

Il Regno d’Italia era stato proclamato il 17 marzo 1861. L’Italia unita non comprendeva Roma ed il Lazio, che costituivano quanto restava dello Stato Pontificio. Era, tuttavia, necessaria Roma come capitale, affinché l’Italia acquistasse un assetto definitivo, ma Il Papato era protetto dalla Francia che era, al contempo, il principale alleato e protettore del giovane Regno d’Italia.

Nell’intento di risolvere la “Questione Romana” il 15 settembre 1864, Napoleone III e Vittorio Emanuele II stipulavano una Convenzione nella quale da un lato lo Stato Italiano si impegnava a non attaccare lo Stato Pontificio ed anzi a proteggerne i confini, dall’altro la Francia prometteva di ritirare le proprie truppe dallo Stato della Chiesa. Il sovrano francese, che non nutriva molta fiducia nella buona fede del governo italiano, chiese, con protocollo aggiuntivo, che l’Italia provvedesse entro sei mesi a trasferire la capitale da Torino ad un’altra città meno decentrata. Lo spostamento sarebbe stata la prova incontrovertibile della definitiva rinuncia italiana a Roma capitale.

L’alternativa fu posta fra Napoli, Firenze e Bologna. Quest’ultima faceva parte degli ex territori pontifici; l’ipotesi fu scartata poiché una decisione in tal senso avrebbe costituito un affronto al Papato. La prima fu giudicata difficilmente difendibile per la presenza del porto. La scelta cadde così su Firenze non per merito, ma per motivi strategici, politici e militari.

La notizia non entusiasmò molto i Fiorentini, poiché erano consapevoli del fatto che la città sarebbe stata capitale solo in via provvisoria, in quanto il simbolo della riunificazione italiana era comunque costituito da Roma. Il primo a trasferirsi a Firenze fu Vittorio Emanuele II, il 3 febbraio 1865 presso il Palazzo Pitti nel quartiere della Meridiana, seguito poi a maggio da buona parte dei ministeri. Nel frattempo secondo il piano di Giuseppe Poggi si dette mano agli importanti cambiamenti urbanistici che il nuovo status comportava: si abbatterono le mura per creare larghe strade di scorrimento e permettere al centro di espandersi; si realizzarono il viale dei Colli ed il piazzale Michelangelo; si adattarono vari palazzi del centro per ospitare ministeri e uffici governativi. Palazzo Vecchio accolse la Camera dei Deputati nel Salone dei Cinquecento, gli Uffizi il Senato; Palazzo Pitti la Reggia.

Per molti queste modifiche improvvise e radicali furono un vero e proprio scempio della Firenze antica: dentro gli antichi palazzi, conventi e persino all’interno di Palazzo Vecchio furono divisi tra gli uffici comunali e ministeriali, lo studiolo di Francesco I fu adibito a deposito di carta straccia, per aula del senato fu scelta la sala dei Duecento, con seggi che mal s’intonavano con le bellissime decorazioni quattrocentesche, ci fu persino chi propose d’intonacare la facciata del palazzo arnolfiano. Non ci fu monastero o convento, palazzo o palazzetto, che non venisse suddiviso da tramezzi, imbiancati a calce o verniciato in grigio, ingombro di scrivanie, gli impiegati battevano chiodi sulle pareti affrescate per appendere ordini di servizio, calendari e quant’altro di peggio che offendesse i capolavori da tanta brutalità verso le opere d’arte sottostanti
Anche l’abbattimento delle antiche mura trecentesche ad opera di Giuseppe Poggi, sulle cui rovine fece correre i viali di circonvallazione, fu visto negativamente: ciò sembrava causare lo sfiancamento della città, che sarebbe, stata più ordinata se le mura non fossero state toccate, e, invece, vennero conservate soltanto le porte in mezzo a piazze di stile neorinascimentale.
Comunque nei sei anni in cui Firenze fu capitale venne portato avanti il processo di unificazione nazionale in un clima di maggiore tolleranza e rispetto reciproci, nonostante i municipalismi non del tutto sopiti. Nel maggio 1871 il Parlamento, ancora sedente in Palazzo Vecchio, approvò la Legge delle Guarentigie, che regolò i rapporti fra Stato e Chiesa fino al 1929. Fu questo l’ultimo atto politico di grande rilievo prima del definitivo trasferimento a Roma. Quando, nel 1871, l’apparato statale smobilitò, la città si svuotò con la stessa rapidità con cui si era riempita