• Ferdinando Martini: è stato uno scrittore e politico italiano. Fu senatore del Regno d'Italia nella XXVI legislatura, ministro delle Colonie e dell'Istruzione pubblica.
Nacque il 30 luglio 1841 a Firenze dall'autore di teatro Vincenzo Martini. Fu un giornalista e uno scrittore. Nel luglio 1879 fondò il settimanale Fanfulla della domenica, che diresse fino al dicembre del 1880. Il 15 febbraio 1882 fondò La Domenica letteraria, che diresse fino all'agosto 1883.
Venne eletto deputato al Parlamento italiano nel 1876 e conservò questa carica per quarantatré anni e tredici legislature. Fu Ministro delle Colonie del Regno d'Italia nei Governi Salandra I e Salandra II nonché Ministro dell'Istruzione Pubblica nel Governo Giolitti I. Governò l'Eritrea dal 1897 al 1907 e la sua buona gestione avviò il Paese a uno sviluppo modesto, ma sano ed equilibrato, basato soprattutto su floride piantagioni.
Il 1º marzo 1923 fu nominato Senatore del Regno. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile; e fu membro della Massoneria.
In quello stesso periodo fu tra i fondatori dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Morì a Monsummano Terme, il 24 aprile 1928.
• Francesco Domenico Guerrazzi: anche lui fu uno scrittore e politico italiano.
Nacque il 12 agosto 1804 a Livorno da Francesco Donato e Teresa Ramponi e fu un intellettuale della media borghesia produttiva e democratica livornese del primo Ottocento di cui interpretò le esigenze e le aspirazioni nel campo politico–economico, così come in quello culturale.
La sua indole di polemista spesso violento lo portò, già da ragazzo, a duri scontri con il padre fino alla fuga da casa. Patriota mazziniano, politico e, soprattutto, scrittore romantico e retorico, con i suoi romanzi storici - i più celebri dei quali rimangono "La battaglia di Benevento" (1827) e "L'assedio di Firenze" (1863) - esercitò una notevole influenza sulla gioventù italiana. L'incontro con George Gordon Byron, che avvenne a Pisa nel 1821, incise non poco nel suo stile letterario: a lui Guerrazzi dedicò la sua prima opera, "Stanze alla memoria di Lord Byron", del 1825. Nel 1831 aderì alla "Giovine Italia" di Giuseppe Mazzini, scelta che gli costò, nel 1832 e negli anni seguenti, ripetuti arresti. L'amor di patria lo spinse ad aderire ai moti politici del 1848, in seguito ai quali divenne prima Ministro dell'Interno del granducato, quindi membro del Triumvirato nel governo provvisorio di Toscana, insieme a Montanelli e Mazzoni, e infine Dittatore in Toscana. Ma fu un'esperienza molto breve perché con il ritorno del Granduca, nel 1849, fu condannato, nonostante la sua "Apologia" (1851), all'esilio in Corsica, dove rimase per circa dieci anni. Nel 1861 Guerrazzi venne eletto deputato nel Parlamento italiano, carica che conservò fino al 1870, esercitando una dura e costante opposizione a Cavour. Morì tre anni dopo, il 23 settembre 1873, all'età di 69 anni, nella sua azienda agricola di Cecina
Francesco Domenico Guerrazzi fu un Repubblicano atipico, entusiasta ma critico, fustigatore di costumi e dissacratore, anticlericale ma profondamente convinto della bontà del messaggio cristiano.
• Giuseppe Mazzini: è considerato un politico e filosofo molto importante nella storia italiana in quanto con le sue idee ha contribuito alla nascita di uno stato unitario. Per questo si parla di Mazzini come di uno dei padri della patria.
Nato a Genova il 22 giugno 1805, si iscrisse alla facoltà di Legge. Dopo i moti del 1821, Mazzini iniziò a sviluppare l'idea che era necessario lottare per la libertà della patria.
Nel 1826 scrisse il saggio letterario "Dell'amor patrio di Dante", che fu pubblicato nel 1837. Il 6 aprile 1827 si laureò in Diritto civile e diritto canonico e diventò membro della carboneria. A causa della sua attività rivoluzionaria dovette fuggire in Francia, dove diede vita, nel 1831, alla Giovine Italia, associazione politica che aveva come obiettivo quello di riunire gli stati italiani un una sola repubblica e liberare il popolo italiano dagli invasori stranieri. In seguito fondò altri movimenti politici con lo scopo di liberare ed unificare altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e la Giovine Europa.
Nel 1866 Mazzini fu candidato alle elezioni di Messina per la scelta dei deputati del nuovo parlamento di Firenze, ma non poté fare campagna elettorale perché era in esilio a Londra. Sulla sua testa pendevano infatti due condanne a morte: una a Genova per i moti del 1857 ed una a Parigi per complicità in un attentato contro Luigi Napoleone. Mazzini vinse le elezioni, ma la sua vittoria fu annullata a causa delle condanne precedenti. Nel 1868 si trasferì a Lugano e nel 1870, dopo aver ottenuto l'amnistia, rientrò in Italia per dedicarsi all'organizzazione di nuovi moti popolari. Il 14 agosto fu arrestato a Palermo e venne condotto nel carcere militare di Gaeta. Esiliato nuovamente, è poi riuscito a rientrare a Pisa, con il falso nome di Giorgio Brown, il 7 febbraio 1872. Morì a Pisa il 10 marzo 1872. Il suo pensiero politico era animato da una profonda ispirazione religiosa. Secondo Mazzini, infatti, era nella coscienza del popolo che si manifestava potentemente la volontà di Dio e ad ogni popolo Dio aveva affidato direttamente una missione per il progresso generale dell'Umanità. Tutti i popoli hanno quindi il diritto di libertà e quando sono oppressi, è loro supremo dovere quello di riconquistare la loro patria anche attraverso la rivoluzione. Proprio per questo il popolo italiano doveva adempiere alla propria missione e lottare contro l'Austria per la liberazione dei popoli oppressi e la creazione di una nuova Europa unita e democratica. La libertà e l'indipendenza di una nazione si raggiungono infatti attraverso il sacrificio e l'opera concorde di tutto il popolo. Mazzini ha quindi proclamato che fosse condizione necessaria per l'esistenza e il progresso di una nazione l'Unità, mentre l'unica forma legittima di governo fosse la Repubblica nella quale si esprimeva in tutta la sua pienezza la volontà del popolo.
• Napoleone III: Luigi Carlo Napoleone Bonaparte, imperatore dei Francesi (Parigi 1808-Chislehurst 1873). Terzogenito di Luigi Bonaparte re d'Olanda (1778-1846) e di Ortensia di Beauharnais (1783-1837), dopo Waterloo seguì la madre ad Arenenberg (Turgovia). Prese parte all'insurrezione carbonara dell'Italia centrale del 1831 durante la quale morì il fratello Napoleone, il secondogenito (il primogenito era morto nel 1807). Salvatosi dalla cattura da parte austriaca, ritornò in Svizzera da dove fece alcuni viaggi in Germania, Belgio e Inghilterra. Divenuto nel 1832 l'erede dei Bonaparte tentò un pronunciamento militare a Strasburgo (1836) e, successivamente, a Boulogne (1840) per rinverdire alla memoria dei Francesi il ricordo di Napoleone I. Falliti entrambi i tentativi, la seconda volta, anziché essere inviato negli Stati Uniti come era successo nel 1836, fu condannato alla prigionia a vita nel forte di Ham. Fuggì dopo sei anni di detenzione (25 maggio 1846) e riparò in Inghilterra dove contrasse amicizie utili per il suo avvenire. Rientrato in Francia nel 1848, essendo stato nominato deputato all'Assemblea Nazionale, fu eletto presidente il 10 dicembre dello stesso anno, coi voti dei cattolici, dei socialisti e dei contadini. Nel 1849 contese all'Austria il predominio in Italia schiacciando la Repubblica Romana di Mazzini; venuto poi in contrasto con l'Assemblea Legislativa eletta nel 1849, col colpo di stato del 2 dicembre 1851 si fece proclamare presidente per 10 anni divenendo imperatore il 2 dicembre 1852, dando vita al cosiddetto Secondo Impero. Fermo sostenitore della revisione dei trattati del 1815 ma anche dell'intesa con l'Inghilterra, e convinto che compito della Francia fosse riorganizzare l'Europa secondo il principio di nazionalità, insieme con l'Inghilterra mosse guerra alla Russia nel 1854-56 (guerra di Crimea) senza riuscire a risolvere il problema polacco ma gettando le basi della nascita della Romania e spezzando per sempre la risorta Santa Alleanza. Nel 1859, quale alleato del Regno di Sardegna, batté l'Austria a Magenta (4 giugno) e a Solferino (24 giugno), perseguendo lo scopo, concordato con Cavour a Plombières nel 1858, di creare un Regno dell'Alta Italia per i Savoia, ma l'operazione gli sfuggì di mano e in due anni quasi tutta la penisola fu unificata. Comunque la cessione di Nizza e della Savoia fu il compenso sancito da un plebiscito. Da allora iniziò il suo lento declino: la sua acquiescenza alla mutilazione dello Stato Pontificio da parte italiana indispose i cattolici; la proposta di convocare un Congresso per risolvere la questione della Polonia, insorta contro i Russi, indispose lo zar Alessandro II (1863); la spedizione messicana, iniziata nel 1862, finì in un disastro (1867); Sadowa (1866) accrebbe il prestigio della Prussia e ferì l'orgoglio francese; Mentana (1867) irritò gli Italiani. Nel 1870 fu spinto dalla corte, contro sua voglia, a cercare una vittoria diplomatica sulla Prussia a proposito della candidatura di un Hohenzollern al trono di Spagna: l'operazione, mal condotta, portò alla guerra franco-prussiana e Napoleone III, sconfitto a Sedan (2 settembre), fu fatto prigioniero e dichiarato decaduto da un governo provvisorio formatosi a Parigi. Dopo una breve detenzione a Wilhelmshöhe si ritirò nel 1871 a Chislehurst (Inghilterra) dove morì nel gennaio del 1873. Personalità complessa, di temperamento romantico, idealista, quasi sognatore, fu autore di saggi di argomento militare (Du passé et du présent de l'artillerie), tecnico (progettò lo scavo del canale di Nicaragua), storico (scrisse una Vita di Giulio Cesare), politico-sociale (Idées napoléoniennes; L'extinction du paupérisme) i quali ultimi ebbero molta influenza sul rilancio del bonapartismo. Fu anche il fondatore dell'espansione francese sul continente asiatico fiancheggiando nel 1858 e 1860 l'Inghilterra in due spedizioni armate contro la Cina e conquistando la Cocincina (1863).
• Niccolò Tommaseo: Nacque a Sebenico, in Dalmazia, il 9 ottobre del 1802, da genitori veneti. Dopo i primi studi a Sebenico e poi a Spalato, in seminario, il richiamo delle radici di famiglia lo portò ad iscriversi all'università di Padova, dove conseguì la laurea in giurisprudenza, nel 1822, e conobbe Rosmini. Rimase a Padova ancora per due anni, per poi trasferirsi a Milano. In questi anni strinse amicizia con molti letterati ed intellettuali come Manzoni, Gino Capponi, Vieusseux, Thouar ed altri, e frequentò i circoli culturali di Milano. Collaborò al "Nuovo Ricoglitore" e pubblicò alcuni scritti su questioni linguistiche, come "Il Perticari confutato da Dante", del 1825. Nello stesso anno iniziò a collaborare all'“Antologia” di Viesseux, attività che lo indusse a trasferirsi a Firenze nel 1827, dove pubblicò, nel 1830, il "Nuovo dizionario de' sinonimi della lingua italiana", opera che ne rivelò lo spessore di linguista e che avrebbe indotto i posteri ad annoverarlo fra i grandi maestri della nostra lingua. Intanto, in seguito ad un suo articolo poco gradito agli austriaci, Tommaseo fu costretto ad allontanarsi da Firenze, mentre l'”Antologia” venne soppressa.
Si trasferì, dunque, a Parigi, meta e rifugio di molti intellettuali italiani invisi all'Austria, dove frequentò gli ambienti culturali francesi ma anche donne e bordelli, tradendo l'educazione profondamente cattolica ricevuta in gioventù. La dicotomia fra il piacere della trasgressione e l'ansia del rimorso scatenò in Nicolò Tommaseo un profondo conflitto interiore che lo accompagnò sempre ed emerse con forza in molte sue opere. Proseguì, intanto, con una intensa produzione letteraria: "Dell'Italia" (1835), "Confessioni" (1836), il "Commento alla Divina Commedia" (1837), le autobiografiche "Memorie poetiche" (1838).
Da Parigi si recò in Corsica per ricercarne e raccogliere i canti popolari che pubblicò in seguito, insieme a quelli toscani, greci ed illirici. L'amnistia concessa dall'Austria nel 1839 gli consentì di rientrare in patria e di stabilirsi a Venezia. Qui pubblicò alcune opere che aveva scritto in Francia: "Fede e bellezza" (1840), "Scintille" (1841), i citati "Canti popolari toscani, corsi, illirici, greci" (1841-1842), oltre al "Dizionario estetico" (1840), agli "Studi filosofici" (1840) ed agli "Studi critici" (1843). Il clima politico veneziano, intanto, si stava scaldando, e Nicolò Tommaseo vi partecipò emotivamente ed attivamente con spirito fondamentalmente anarchico: verso la fine del 1847 reclamò pubblicamente la libertà di stampa e venne arrestato dalla polizia asburgica. Fu liberato alcuni mesi dopo, nel corso dei moti veneziani che portarono alla proclamazione della Repubblica di San Marco, nel cui ambito ricevette importanti incarichi di governo. L'esultanza per la vittoria ebbe tuttavia durata breve, perché nel 1849 gli austriaci ripresero Venezia ed il Tommaseo si rifugiò a Corfù, dove si sposò. Da Corfù ritornò a Torino, nel 1854, ma, amareggiato per la politica unitaria di Cavour che egli, da repubblicano, contrastò al punto da rifiutare la nomina a senatore, nel 1859 rientrò a Firenze, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Nicolò Tommaseo morì a Firenze, all'età di 72 anni, il giorno 1 maggio 1874. Il suo stile letterario fortemente espressivo ne fa uno degli autori più rappresentativi della letteratura italiana dell'Ottocento