Gabriele Stilli
La caduta di una pietra da una torre

2a4. Argomentazioni certissime dell'immobilità della terra: la caduta di una pietra da una torre
La pietra dal pennone
La complessa argomentazione di Salviati mira a confutare le prove dell'immobilità della terra, in particolare quella che si basa sulla caduta di una pietra da una torre: secondo Aristotele il fatto che un oggetto in caduta libera cada perpendicolarmente al terreno costituisce una prova certa dell'immobilità della terra. Se si muovesse, infatti, la terra scorrerebbe mentre l'oggetto è in volo, ed esso non cadrebbe ai piedi della torre. Salviati finge quindi che la terra sia come una nave, dal cui albero maestro si fa cadere una pietra. Non c'è dubbio che, quando la nave è ferma, il sasso cade ai piedi dell'albero maestro; le divergenze tra Salviati e gli aristotelici emergono qualora la nave si muovesse: secondo questi ultimi, difatti, la pietra dovrebbe cadere lontano dall'albero maestro, per via dello scorrere della nave sotto di essa. L'intento di Salviati è invece quello di dimostrare il contrario: se la pietra cadesse, come in effetti cade, vicino all'albero anche quando la nave fosse in moto, questo non sarebbe più utile per capire se la nave si muove o meno e, di conseguenza, l'argomento della torre non sarebbe efficace per dimostrare l'immobilità della terra.

Il piano inclinato e il principio di inerzia
A questo punto Salviati definisce il moto del vascello. Salviati prende in esame una sfera su un piano inclinato, e chiede a Simplicio di descriverne il moto. Incalzato da varie domande, l'interlocutore risponde che questa si sposta spontaneamente lungo il piano, e se il piano fosse infinito, essa si muoverebbe all'infinito, aumentando la sua velocità in proporzione alla lunghezza del piano. Inoltre la palla non potrebbe risalire, a meno che non venga spinta, e, in tal caso, la sfera dopo un certo periodo di tempo si fermerebbe e tornerebbe indietro.
Ora, se il piano non fosse inclinato, l'oggetto sarebbe fermo. Se gli si desse una spinta, si muoverebbe in linea retta nella direzione data, a velocità costante, all'infinito, in quanto non vi sarebbero impedimenti esterni a modificare velocità o direzione. Per cui, ritornando all'esempio della nave, questa naviga all'infinito sulla superficie piana del mare, a velocità e direzione costante. A questo punto l'attenzione dei due interlocutori si sposta sulla pietra, che viaggia alla stessa velocità della nave e che quindi, tenderà a seguirla, e cadrà vicino all'albero maestro.

Gli attriti e le cause del moto
E' Simplicio stesso, dialogando con Salviati, ad ammettere la veridicità di questa affermazione, però poi solleva alcune obiezioni: la prima riguarda l'attrito dell'aria, che modificherebbe il percorso dell'oggetto, e la seconda consiste nel fatto che il moto della caduta sarebbe in contrasto col moto della nave. Salviati non nega il problema dell'attrito, anche se il peso della pietra lo rende comunque trascurabile. Il secondo invece non ha ragion d'essere, in quanto i due moti non si annullano tra loro, ma al contrario si sommano: la pietra continua il suo moto orizzontale seguendo la nave, e nel contempo si sposta verticalmente lungo il ponte.
Simplicio però obietta che il moto della pietra non è impresso da alcun agente esterno: ma, al contrario, l'uomo sul pennone non ha che da aprire la mano perché essa cada spontaneamente, e di conseguenza non sarebbe soggetta al moto della nave. Inoltre crede di trovare una contraddizione nel discorso di Salviati, in quanto, se la pietra cadesse lungo l'albero maestro, bisognerebbe attribuire questo effetto all'aria, che secondo Salviati invece è ininfluente.
Salviati quindi si accinge a dimostrare che l'aria circostante non è coinvolta nel moto della pietra. Infatti, se fosse così gli oggetti leggeri, come un batuffolo di bambagia, si muoverebbero più velocemente rispetto agli oggetti più pesanti, oppure, qualora si voglia muovere qualcosa, l'aria circostante si muoverebbe per prima, e l'oggetto solo in un secondo momento. L'aristotelico risponde dicendo che l'aria riceve facilmente i moti e li conserva, ma ciò è falso, in quanto gli oggetti pesanti sono più adatti a mantenere il moto: un pendolo di metallo oscilla di più di uno di bambagia. Se la causa del moto dell'aria cessa, l'aria cessa anch'essa il suo movimento. Se agitiamo l'aria, al termine possiamo accendere una candela senza problemi di sorta, che altrimenti si sarebbe spenta per colpa del vento. Sagredo interviene sostenendo che se si scagliano due frecce, l'una con la punta in avanti, come di norma, e l'altra di traverso, con l'asta che tocca la corda, la seconda dovrebbe cadere più lontano, perché offre al vento una superficie maggiore rispetto alla prima, mentre l'esperienza dimostra il contrario. Quindi l'aria può essere semmai un attrito, ma mai la causa del moto. Se non è l'aria circostante, deve essere il soggetto che è causa del movimento. Ritornando quindi all'esempio dell'albero, possiamo affermare che l'oggetto segue la nave in quanto il suo moto è determinato, come l'apertura della mano, dall'uomo sul pennone, che si muove alla stessa velocità del vascello.

Il principio della relatività galileiana
La relatività galileiana è basata sull'invarianza delle leggi della meccanica nei sistemi di riferimento i cui moti relativi siano rettilinei e uniformi (riferimenti inerziali).* Ad esempio, sostiene Galileo, se durante un viaggio in mare si scende sottocoperta e si fanno alcuni esperimenti, non si è in grado di sapere se la nave si sta muovendo o meno. Difatti ogni osservazione che si potrebbe compiere non risulterebbe diversa rispetto alla terraferma: gli insetti volano nello stesso modo, i medesimi spazi sono percorribili alla stessa velocità; se poi si prende un vaso e con un contagocce si instillano in esso alcune gocce d'acqua, non risulta evidente nessun cambiamento di moto delle stesse. Ciò avviene poiché la nave si muove di moto rettilineo uniforme e l'osservatore è nello stesso sistema di riferimento di essa. Se fosse al di fuori, infatti, il moto della nave sarebbe evidente.
*(Fonte: Treccani.it)

Logica ed esperienza
Importante il peso che Galileo dà alla logica: essa infatti permette di confutare le tesi altrui e consente di esprimere la realtà in modo razionale. La logica però è solo un mezzo per esporre in maniera efficace dati acquisiti sperimentalmente. Il fisico infatti basa la sua ricerca sull'esperienza, sulla corrispondenza tra ciò che è vero logicamente e ciò che è vero secondo l'osservazione. Il rapporto tra logica e realtà è stato a lungo discusso dai filosofi, in quanto i sensi possono essere fallaci e ingannevoli, ma al tempo di Galileo la filosofia dominante, la scolastica, già riteneva l'esperienza fondamentale per la speculazione filosofica, al punto da considerare i sensi umani perfetti. La novità rappresentata dalla rivoluzione scientifica e in primis da Galileo consiste quindi non tanto nella rivalutazione dell'esperienza sensibile, quanto nel cosiddetto metodo scientifico, cioè nel modo in cui si interroga il mondo sensibile. Il filosofo quindi si sottopone ad un rapporto con la realtà di tipo razionale e non più inconsapevole ed immediato. In tal modo il moto della terra, ad esempio, può risultare vero anche se non è percepibile. Il metodo scientifico si sviluppa in vari passaggi: il primo di essi consiste nell'osservazione della natura, e nella scelta delle informazioni rilevabili e trasformabili in dati. L'osservazione inoltre può essere supportata da mezzi come il cannocchiale, ad esempio; di qui l'ennesimo motivo di diatriba con gli Aristotelici che, ritenendo i sensi umani perfetti, ritenevano che qualunque attrezzo umano, modificando la percezione, alterasse la realtà. Galileo invece si difendeva asserendo che lo strumento era costruito per mezzo della ragione, considerata un dono divino, e di conseguenza, non poteva distorcere la realtà, ma anzi, aumentare la precisione dell'occhio. Questo ragionamento è importante per comprendere poi gli altri passaggi del metodo scientifico, che consistono nell'ipotesi di una legge, con l'intervento della matematica, e la sua verifica per mezzo dell'esperimento. In particolare l'esperimento, basandosi sulla riproduzione della realtà in laboratorio, mostra come l'uomo possa agire sulla realtà e avvalersi di modelli senza che essi costituiscano una distorsione della realtà. La nuova filosofia di Galileo comporta inoltre l'abbandono del principio di auctoritas, concetto fondamentale per la cultura medioevale, che presupponeva un rapporto di sottomissione rispetto la verità rivelata. In questo senso è importante il rapporto dialettico e critico che Galileo aveva, ad esempio, con le Sacre Scritture, come appare dalle sue epistole: per lo scienziato infatti non bisogna intendere la Bibbia nel suo significato letterale, bensì essa va interpretata, e inoltre è possibile mettere in discussione i vari commentatori della Bibbia, in quanto essi non incarnano la verità, bensì una sua interpretazione. E' così che la scienza deve procedere: secondo un processo critico, per cui ogni filosofo può essere smentito alla luce di nuove ricerche.
La natura per Galileo è un immenso libro scritto in “lingua matematica” e perché possa essere indagata sono necessari i mezzi e i procedimenti critici della logica e delle scienze, senza i quali “è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto”, per dirla con le sue parole.

Si vedano anche gli elaborati di Segatta e Milanta.