Chiara Milanta
La fisica del moto di Aristotele

2b2. La fisica del moto in Aristotele

Aristotele (384-322 a.C.), il più noto dei discepoli di Platone, è ricordato come un grande filosofo e fisico (a quel tempo le due figure erano quasi coincidenti). Alla base della teoria aristotelica c'è il movimento: per renderlo accettabile e per vincere quindi la critica eleatica introdusse tra i concetti base di “essere” e di “non essere” un terzo concetto di “essere in potenza”. Gli eleatici sostenevano infatti che l' “essere” oltre ad essere ingenerato, imperituro, senza presente, senza futuro, senza fine, intero, continuo, indivisibile, unico, definito da tutti i lati e simile ad una sfera, dovesse anche essere immobile. Il passaggio tra l' “essere in potenza” e l' “essere in atto” costituisce appunto il movimento. Aristotele definisce il movimento come qualunque variazione quantitativa e qualitativa per cui un moto si realizza: il movimento quindi è proprio di ogni elemento della natura. Per giustificare questa teoria in primo luogo considerò i quattro elementi naturali: aria, acqua, fuoco, terra, presenti nella terra e l'elemento caratterizzante il mondo dei cieli, dotato di perfezione: l'etere. Gli elementi terrestri hanno tendenza a un moto rettilineo naturale verso il basso, se pesanti (acqua, terra) o verso l'alto se leggeri (aria, fuoco). Questo movimento degli elementi è giustificato con la tendenza di ogni elemento a muoversi nel suo luogo naturale d'origine: per la terra è il centro terrestre, per l'acqua, che è poco più leggera della terra, è una sfera che circonda la terra stessa, per l'aria è una terza sfera geocentrica e infine propria del fuoco è una quarta sfera che racchiude al suo interno le tre precedenti. Questi elementi, oltre ad essere dotati di movimento naturale, sono sottoposti a moti violenti causati in primo luogo dal moto del sole che riscalda la terra in modo non uniforme, provocando squilibri termici che alterano la tendenza naturale degli elementi a muoversi verso l'alto o verso il basso. Osservando questi moti violenti e le loro caratteristiche, Aristotele afferma che la velocità è direttamente proporzionale al peso del corpo e inversamente proporzionale alla densità del mezzo in cui avviene la caduta. Il filosofo si basa infatti su alcune osservazioni facilmente verificabili: un sasso che cadendo attraversa l'aria, ha velocità maggiore di uno stesso masso che attraversi l'acqua. L'etere invece è un elemento caratterizzante il mondo perfetto e capace di muoversi di moto circolare uniforme perpetuo. Il mondo aristotelico quindi è diviso in due regioni, obbedienti a leggi diverse: il mondo sublunare dove le cose nascono, si corrompono e periscono, e il mondo dei cieli stellati, inalterati e incorruttibili. Questa distinzione è conseguenza dell'osservazione volgare che vede sulla terra i fenomeni di trasformazione e in particolare i fenomeni meteorologici, ma non osserva alcuna alterazione in cielo. Nonostante alcune delle leggi fisiche aristoteliche fossero basate su un'osservazione un po' ingenua e superficiale dei fenomeni naturali, il filosofo è degno del più grande rispetto: in primo luogo la fisica di Aristotele era basata soprattutto sull'osservazione dei fenomeni e sugli esperimenti (anche se grezzi) più che su principi metafisici. Inoltre come si evince da alcuni testi del filosofo e in particolar modo dai Problemi, il suo campo di interesse era vastissimo e numerose sono anche le osservazioni di musica, di meteorologia, dei fenomeni d'osmosi, dell'eco e della propagazione della luce.

Bibliografia
1. M. Gliozzi, Storia della fisica, Bollati Boringhieri editore, Torino, 2005;
2. R. Maiocchi, Storia della scienza in occidente, La nuova Italia editrice, Milano, 2000;
3. F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, A. Bianchi, M. De Pasquale, I filosofi e le idee, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2005.