Discussione
Spunti di discussione - Prof. Luppi
Il caso Galileo propone alla riflessione temi che conservano una considerevole attualità. Ti si propone di discutere almeno una delle seguenti questioni (peraltro strettamente correlate). Argomenterai la tua posizione in riferimento ai testi qui disponibili, oltre che ad altri, anche contemporanei, che troverai e citerai.

1. Un punto essenziale riguarda l'autonomia della scienza da ipoteche di carattere metafisico o teologico, che Galileo rivendicò nella sua battaglia a favore del copernicanesimo. E' a tuo giudizio auspicabile, tale autonomia? Vi è chi pensa che la scienza, in quanto conoscenza teorica, abbia un carattere neutro rispetto ai problemi morali; non sarebbe la conoscenza scientifica in quanto tale, ma gli usi e le applicazioni dei suoi ritrovati che, per le loro conseguenze pratiche, richiedono di esser regolate anche secondo criteri etici. Vi è però chi diversamente pensa che - a causa del carattere sperimentale e operativo della ricerca scientifica – lo scienziato compia atti eticamente e/o politicamente rilevanti (come – per fare solo un esempio - quando fa soffrire un animale per provare l'effetto di sostanze, in vista del loro uso sugli uomini). E che dunque la sua attività non possa sfuggire a una valutazione anche morale (sia essa fondata filosoficamente, sia basata su convincimenti religiosi).

2. All'origine della scienza moderna vi anche indubbiamente l'ideale di uno stretto rapporto tra scienza e tecnica, prospettato da Galileo, Cartesio e soprattutto Bacone come un fattore importante del progresso scientifico e umano. Possiamo constatare che questo “programma” ha avuto successo e che le società moderne e contemporanee ne sono profondamente segnate: un filosofo del Novecento come Hans Jonas parla a questo riguardo di un ”Prometeo scatenato” (Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, 1979, trad. it, Einaudi, Torino 1990). Quali problemi di carattere etico e politico pone oggi a tuo giudizio la presenza pervasiva dell'elemento tecnologico? Considera per esempio gli effetti relativi ad uno dei seguenti ambiti e discuti possibili soluzioni: a) controllo democratico sui processi produttivi ed economico/finanziari; b) salvaguardia ambientale; c) trasformazioni della cultura e dei processi di apprendimento.
Scibilia - Galileo, il Prometeo della scienza moderna

Quando ci apprestiamo ad esaminare il caso Galilei e la sua battaglia per l'autonomia della scienza dalla religione, dimentichiamo quanti anni, quanti eventi ci separino dallo scienziato e banalizziamo la posizione della chiesa a ignoranza o cecità.
In realtà, tutto ciò accade perché le dottrine galileiane sono già passate al vaglio della storia, già riconosciute come elementi fondativi della nuova scienza, del pensiero moderno. Proprio perché noi apparteniamo alla stessa mentalità e attiviamo nella ricerca della conoscenza gli stessi procedimenti proposti dalla scienza nuova, è molto difficile poterne valutare l'efficacia, la bontà e la veridicità. Dal diciassettesimo secolo fino ad oggi, l'autonomia della scienza si è sempre più affermata; tuttavia, rimane sempre aperto il dibattito che quasi quattrocento anni fa coinvolse comunità scientifica ed ecclesiastica: la scienza è davvero libera? Non ha essa limiti nell'indagine fisica? E se esistono limiti, da chi devono essere imposti?
Il dibattito a riguardo è assolutamente attuale e spazia in campi diversissimi.
Il contrasto tra scienza e chiesa, nonostante l'apertura di quest'ultima alle scoperte degli ultimi secoli, rimane attivo nel campo della bioetica.


Ad ogni modo, proprio perché il fine della scienza, il più delle volte, non è teorico in senso assoluto, bisogna adoperarsi affinché essa diventi autonoma e non sia appannaggio di un solo ente che esprime una propria concezione etica.
Infatti, anche quando noi crediamo che si dia grande libertà di azione alla ricerca, in realtà consideriamo poco che attualmente il suo campo di indagine è spesso limitato da fattori economici più che etici: laddove è presente il finanziamento di un grande ente, lì esiste la ricerca.
La questione, dunque, non è solo riguardo ai limiti che l'etica pone alla scienza, ma quelli che non riesce a porre poiché vinta dagli interessi economici.
L'etica per natura non è assoluta, è l'insieme di valori che identificano una società o un gruppo sociale che ha le proprie peculiarità a seconda del luogo, del tempo, delle condizioni e della cultura in cui vive. Chi allora deve definire i limiti della scienza? Nessuno. Questo non significa che l'etica non esista più, o che non si consideri l'applicazione pratica, che in fondo è insita nell'idea di scienza, o le conseguenze che essa potrebbe avere nella vita, ma questi aspetti non possono essere valutati solo da una stretta cerchia che controlla la scienza, bensì devono essere presi in considerazione da tutti coloro che sono coinvolti.
La scienza è sia Prometeo, il dio del progresso umano, che Frankenstein e il suo mostro, pauroso e pericoloso. Sta all'uomo capire quali sono i suoi limiti e a comprendere che la natura per la scienza non è un nemico da sconfiggere.

Curi - Il Legame tra etica e scienza

Secondo la mia opinione il legame tra etica e scienza è uno di quegli argomenti in cui non si può vedere tutto bianco o tutto nero. Ritengo che affermare che la scienza debba avere completa autonomia rispetto a problemi di carattere etico e morale non sarebbe corretto, l'etica finisce per condizionare inevitabilmente parte delle nostre scelte e azioni, e questo vale anche nell'ambito della ricerca scientifica e delle sue applicazioni. Si parla appunto di “bioetica”, termine coniato nel 1970 da un cancerologo statunitense, per indicare un'etica non incentrata sugli esseri umani e le loro azioni reciproche, quanto piuttosto sullo studio della condotta umana nell'area delle scienze della vita e della cura della salute, tenendo conto di valori e principi morali. Considerando appunto questi valori, ritengo che sicuramente ci siano ambiti in cui la tecnologia scientifica deve rimanere libera di agire per il bene dello sviluppo, ma anche che come in ogni cosa, sia necessario porsi dei limiti da cui non si deve sconfinare, soprattutto quando le applicazioni comportano conseguenze negative sulla vita di esseri umani. Credo poi che si tenda a essere più o meno in disaccordo con l'autonomia scientifica in base alle proprie convinzioni, a seconda che esse siano di tipo morale o religioso. In Italia, ad esempio, la Chiesa ha un forte peso soprattutto in merito a sperimentazioni in campo sanitario.


A mio parere non spetta alla religione esprimersi sui limiti delle applicazioni scientifiche, del resto è evidente come anche in passato (ritornando sull'argomento di Galilei) sia stata semplicemente di ostacolo al progresso. Se dei limiti ci sono, per me questi vanno posti sulla base di valori etici consolidati al di là della credenza religiosa personale, condivisi da una forte maggioranza e comunque giustificati. Posso dirmi favorevole al trapianto d'organi perché così facendo si possono salvare delle vite, ma non sono d'accordo nel ricorrere alla clonazione di essere umani per ottenerli. Proprio la clonazione è uno degli argomenti più discussi in questo campo, per le varie implicazioni che essa può portare sulla vita dell'individuo clonato. Secondo John Kilner, presidente del Centro per la Bioetica e la Dignità Umana negli Stati Uniti, "La maggior parte delle ricerche pubblicate dimostra che la morte o la mutilazione del clone sono risultati molto probabili nella clonazione di mammiferi".
Sempre per quanto riguarda l'ambito sanitario è stato interessante leggere non molto tempo fa un libro di Jodi Picoult, La custode di mia sorella. Il libro tratta di come una ragazzina sia stata concepita con determinate caratteristiche genetiche, allo scopo di essere donatrice di midollo osseo per la sorella affetta da leucemia e mette in luce le ripercussioni che questo ruolo ha avuto anche nella concezione che la ragazza ha della propria esistenza. Leggendo mi sono ritrovata a chiedermi se fosse giusto creare un individuo semplicemente per il beneficio di un altro e istintivamente mi sono risposta di no. Penso che la natura abbia un suo ruolo e l'uomo deve capire quando non può e non deve cercare di sostituirsi ad essa.

 

Risposta di Fraschini a Curi
Sono d'accordo con te per quanto riguarda l'eutanasia, ma ho una perplessità: se l'eutanasia è intesa come interruzione dell'alimentazione bisogna far presente che in questo caso il paziente prova in ogni caso un'enorme sofferenza perché il processo che lo porta alla morte dura molte ore. Mi trovassi ad affrontare questa scelta, preferirei un metodo spesso usato negli Stati Uniti, l'iniezione, attraverso la quale la morte sopraggiunge in pochi minuti. In questo modo si eviterebbero altre inutili sofferenze.
Sposato - Scienza ed etica

Hiroshima, Chernobyl, Fukushima. Inseminazione artificiale, coma vegetativo, aborto. Nel corso dell'ultimo secolo la progressiva evoluzione della scienza si è scontrata più volte, e su più punti, con l'etica. Uno scontro inevitabile, quando in discussione vi è la salute dell'uomo e dell'ambiente a lui circostante. Dal campo politico, a quello medico, ecclesiastico, ognuno ha esposto in diversi momenti storici la propria opinione sulla scienza e sul progresso. La questione è: fino a che punto l'uomo è in grado di spingersi? L'uomo riesce sempre a riconoscere il proprio limite o, quasi per spirito masochista, può arrivare, radicalmente parlando, alla sua autodistruzione? Perché episodi come Hiroshima, Chernobyl, Fukushima sembrano proprio testimoniare questa debolezza umana, quest'impossibilità dell'uomo a riconoscere non solo ciò che è giusto o sbagliato, ma anche il limite entro al quale può spingersi. Ma chi lo impone questo limite? La politica? La propria Chiesa? E nemmeno si può dire che ogni categoria abbia un univoco parere.

 

All'interno del proprio campo, ognuno possiede una diversa idea di etica, una propria diversa opinione, un proprio diverso orientamento. E spesso ci si ritrova confusi, a volte perfino senza un parere preciso, bombardati da mille informazioni. D'altronde nel corso degli anni non si può negare che la scienza abbia contribuito moltissimo a migliorare le nostre condizioni di vita: non a caso la vita media si è allungata, la medicina ha fatto passi da gigante, l'uomo è arrivato sulla luna e si sono sviluppati studi sul nostro sistema solare; sono stati incrementati nuovi mezzi di trasporto, nuove comodità, grandiose innovazioni. Finché la scienza è stata dalla parte dell'uomo, nessuno ha avuto niente da obiettare. Nessuno vorrebbe tornare a dormire nelle caverne, né a cacciare, a spostarsi con le carrozze, a vivere in città colpite da epidemie, a morire per il colera o la malaria. Eppure ci sono così tanti luoghi nella nostra grande terra, in cui ci sono ancora tutti questi problemi, in cui molti dei suoi abitanti neanche conoscono il significato di “tecnologia”.

 

Paesi poveri, affamati, abbandonati. E invece ci sono rami della scienza che ancora si concentrano più sul nucleare che sulle scienze rinnovabili, più sull'inventare un detersivo più efficace, che studiare innovativi sistemi per sviluppare i Paesi più poveri del mondo. Non intendo nascondermi dietro al velo dell'ipocrisia, ma solo mettere in rilievo quelle che sono le potenzialità positive della scienza, quanto ancora questa possa aiutare l'uomo, nel rigido rispetto del nostro ambiente. Ognuno avrà sempre opinioni diverse riguardo la funzionalità della scienza, ma è innegabile che l'uomo senza il proprio ambiente non può esistere. E perché distruggere ciò che ci circonda, ciò che ci ha dato la vita e che ci permette di sopravvivere? L'animo umano, si sa, è pieno di contraddizioni, ma questa è certamente quella più grande. Pertanto, credo fermamente che aldilà delle diverse critiche, aldilà delle diverse opinioni, si debba usare l'incredibile e perfetta genialità, propria dell'essere umano, a vantaggio e a salvaguardia della vita umana.

Fullone - Scienza etica e bioetica

Alla dogmatica concezione del mondo tipica del Rinascimento, l'epoca moderna ha affiancato, e a volte, sostituito, un'altra visione prevalentemente meccanicistica, mediante la creazione di un diverso sapere, quello scientifico, un sapere che si limita a indagare la sola dimensione sensibile e, nell'ambito di questa, le modalità e le funzioni particolari di esseri e fenomeni. Lo storico delle scienze americano Thomas Kuhn afferma che una rivoluzione scientifica si configura come la sostituzione del modello esplicativo (o "paradigma") vigente con un altro. Quando questo avviene, tutto muta, e anche quel poco che sembra rimanere assume nuovo senso e dunque diverso significato. Il sistema aristotelico-tolemaico aveva dominato incontrastato per quasi duemila anni, ma nel sec. XV le crepe che aveva accumulato attraverso i secoli erano divenute falle irreparabili e pertanto si rendeva necessaria una sostituzione. Nasceva così un nuovo modo d'intendere la realtà, di porsi di fronte ad essa ed indagarla, di organizzare le conoscenze: nasceva, in breve, la scienza moderna, che, se appariva così forte e sicura nei confronti dell'Aristotelismo, non sarebbe stata neppure essa eterna, anzi, a confronto dei duemila anni di questo, doveva durare molto meno, se già si può dare come tramontata alla fine del secolo scorso.

Lo scontro tra Galileo e la cultura aristotelica non va visto, dunque, solo come l'affermazione del metodo scientifico, un metodo universale e sempre valido che si basa sull'alternarsi di "sensate esperienze" e "certe dimostrazioni", nei confronti di una concezione dogmatica e metafisica della realtà. La sua vera portata si può comprendere soltanto se lo si vede come uno scontro fra due modalità di osservare la natura, ognuna delle quali ha come conseguenza l'elaborazione di un proprio sistema coerente ed adeguato di conoscenze.

 

L'importanza di Galilei, comunque, è sicuramente ed egualmente grande nel dominio delle acquisizioni scientifiche dirette ed in quello della dottrina e del metodo della scienza. Non ha quindi contribuito solamente allo sviluppo dell'astronomia e della fisica, ma anche a chiarire il metodo della scienza moderna, nonché le esigenze ed i fini di essa.
Sarebbe molto consolante pensare che i risultati della conoscenza scientifica siano sempre stati utilizzati solo per obiettivi benefici, per migliorare le condizioni dell'esistenza e la qualità della vita degli uomini. Questo è certamente avvenuto; ma bisogna riconoscere che, ogni qual volta il progredire della scienza ha prodotto non solo pura conoscenza speculativa, ma anche strumenti di controllo e intervento attivo sulla natura utilizzabili a fini pratici, questi sono stati sfruttati in tutte le direzioni possibili, e dunque anche per obiettivi che non possono certo essere definiti benefici. Basti pensare al sistematico utilizzo dei risultati scientifici per la messa a punto di armi sempre più sofisticate e distruttive, e non solo in tempi recenti; l'esempio più eclatante è legato alla scoperta delle leggi fondamentali del nucleo atomico che, tra le altre cose, ha aperto la strada alla realizzazione delle bombe termonucleari. Non ha molto senso dare questa colpa alla scienza in quanto tale, ma occorre essere consapevoli del drammatico problema dell'uso responsabile del potere di intervento sulla natura che le conquiste della scienza mettono a nostra disposizione.


L'Occidente è dominato da una concezione progressiva del sapere. La scienza è l'esempio più formidabile dell'immagine della conoscenza concepita come conquista di traguardi sempre nuovi e la dissoluzione di quelli precedenti. Le nostre credenze morali difficilmente riescono a resistere al punto di vista scientifico. Nella prospettiva del progresso della scienza e della tecnica i valori e gli impegni morali rappresentano legami spesso irrazionali. L'etica si misura nella lealtà verso un insegnamento o verso un principio, legami di fiducia e di coerenza che possono non trovare giustificazione agli occhi di un estraneo, ma che costituiscono l'identità di una persona. Scienza e tecnica hanno un posto centrale nelle nostre vite, ma l'immagine di un mondo svuotato di valori è ancora troppo temibile per rappresentare una soluzione al conflitto.
Nel contemporaneo, ad esempio, c'è una branca della scienza che è strettamente legata ai problemi etici: la bioetica. Questa è una disciplina recente, nata alla fine degli anni Sessanta del Novecento negli Stati Uniti come risposta alle questioni di ordine morale sollevate dallo sviluppo tecnologico in campo biomedico [1].
Nell'introduzione all'Encyclopedia of Bioethics (1978) possiamo leggere, la definizione “classica” della disciplina elaborata da Warren T. Reich, membro del Kennedy Institute of Ethics, secondo cui la bioetica (dal greco βίος, vita e ἔθος, morale) è: «lo studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale condotta sia esaminata alla luce di valori e principi morali» [2]. La nuova disciplina, dunque, deve intendersi come una specifica sezione dell'etica applicata. Nonostante la fortuna del termine, la bioetica rimane comunque di difficile definizione circa gli orizzonti dei suoi ambiti applicativi: c'è chi la concepisce come un ramo dell'etica relativa alle questioni attorno alla nascita, alla cura e alla morte degli esseri umani; c'è chi, invece, protende per un'accezione più ampia, ossia una bioetica in senso globale, dal campo medico a quello ecologico (Global Bioethics). Alcuni studiosi sostengono che «la ricerca di ciò che è giusto o corretto non è infatti in questo caso lasciata alla sola determinazione del filosofo, ma è frutto di un'attività multidisciplinare, che coinvolge più soggetti con competenze diverse […].

 

La questione di fondo è pertanto etica, ma la risposta che a essa si dà è l'esito di un confronto allargato che esige, sia nella fase dell'analisi sia in quella della proposta, il concorso di diverse discipline» [3].
Secondo altri, invece, risolvere problematiche legate per esempio all'aborto o all'eutanasia, significa imbattersi proprio in questioni di ordine filosofico come la vita, la morte, il dolore; e se, d'accordo con Platone, intendiamo la filosofia come “sapere a vantaggio dell'uomo”, allora «la bioetica rappresenta una della maggiori incarnazioni dello spirito filosofico» [4].
Non di rado mi è capitato di imbattermi in accese discussioni legate a questioni quali la procreazione assistita, l'aborto, la ricerca sulle cellule staminali, l'alimentazione forzata e di dovermi difendere dall'accusa di essere a favore di una scelta individuale rispetto a delle normative che regolano la vita della collettività. Penso che la possibilità di poter intervenire direttamente sulla qualità della propria esistenza determini una realtà in cui chiunque può prendere delle decisioni a partire dalle proprie convinzioni etiche, morali, religiose, politiche a scapito di una normativa che si vorrebbe al di sopra delle parti. A questo proposito mi sembra emblematico e illuminante il caso suscitato dalla vicenda di Eluana Englaro e della sua scelta, difesa strenuamente dal padre, di non voler sopravvivere in stato vegetativo perché quella forma di esistenza è ben altro rispetto alla vita. Ho ritenuto la posizione di Beppino Englaro altamente civile, dignitosa e corretta perché penso che sia un diritto di ognuno scegliere di non essere alimentato contro la propria volontà. Allo stesso modo penso che chiunque abbia il diritto di scegliere, nelle stesse condizioni, di essere alimentato. La scelta è un diritto di chiunque, e dev'essere garantita la possibilità di avere posizioni diverse, così come nel caso dell'aborto trovo che sia giustissimo che ci sia una legge che tutela il diritto di abortire, perchè questa è garanzia della possibilità di decidere. Se questa garanzia non ci fosse, non sarebbe l'individuo a scegliere, ma la legge lo farebbe al suo posto.


Questi esempi sono solo piccoli riferimenti rispetto alle problematiche gigantesche che le nuove frontiere della scienza stanno mostrando. Infatti, come evidenziano alcuni studiosi «ad un travolgente divenire tecnologico non è corrisposta adeguata elaborazione culturale, al punto che ci si è trovati spesso nella difficoltà ad inquadrare specie biologiche impensabili, perché non esistenti solo qualche anno prima (p. e. la clonazione di specie viventi, sino all'estremo caso della clonazione umana; la liceità degli OGM, sino all'estremo caso della modificazione del genoma umano; la fecondazione artificiale, sino all'estremo della sostituzione delle figure genitoriali in surrogati meccanici; il trapianto d'organi, sino all'estremo della trapiantabilità di qualsiasi tessuto, anche non umano; la contraccezione umana; l'aborto; le chimere, sino all'estremo dell'unione di organismi con origine da regni differenti, anche non soltanto animale; etc.)» [5].
Questo orizzonte induce alla riflessione e contemporaneamente s'interroga su ciò che è tecnicamente possibile ma anche “civilmente auspicabile”. «Senza il contributo della filosofia» – afferma Maurizio Mori – «molto probabilmente la bioetica sarebbe rimasta una mera questione “tecnica” interna alle varie discipline, precludendosi la dimensione “pubblica” di movimento culturale che invece la caratterizza»[6]. 

 

Note
[1] Alcuni ritengono che la bioetica sia la continuazione dell'etica medica derivante dai principi di diritto naturale dopo il processo di Norimberga (1946-1947).
[2] W. T. Reich (a. c. di), Encyclopedia of Bioethics, The Free Press, New York 1978, I, p. XIX.
[3] G. Piana, Bioetica tra scienza e morale, Marinetti Scuola, Novara 2007.
[4] G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, Vol. D/2, Paravia, Torino 2000, p. 626.
[5] A. Pizzo, Le argomentazioni bioetiche, «Dialegesthai», Rivista telematica di filosofia, anno 11 2009, http://mondodomani.org/dialegesthai
[6] M. Mori, Il contributo di Umberto Scarpelli alla bioetica, in L. Gianformaggio, M. Mori (a c. di), Scritti per Umberto Scarpelli, Giuffrè, Milano 1977.

Milanta - Scienza ed etica

Scienza, e etica e soprattutto il loro rapporto sono stati oggetto di numerose teorie e di innumerevoli dibattiti: dovrebbe l'etica controllare la scienza anche a livello teorico o solo le sue applicazioni? Oppure la scienza dovrebbe essere totalmente libera da ogni criterio etico? Io credo che non si possa arrivare in alcun modo ad una risposta assoluta e definitiva a livello così generale, ma che invece sia necessario di volta in volta analizzare ogni singola questione, approfondirla, discuterne e giungere ad un accordo, magari anche solo parziale. E infatti può accadere che anche questo accordo debba essere successivamente ridiscusso e rivalutato a fronte di nuove scoperte scientifiche o diverse sensibilità etiche. Nel formulare un accordo, anche nella sua precarietà, è necessario considerare entrambe le discipline e le loro interconnessioni. Infatti i rapporti tra etica e scienza sono assolutamente biunivoci: se è vero che l'etica può (e deve?) influenzare la scienza è assolutamente ed altrettanto vero anche il contrario. Per esempio, le nuove frontiere delle tecniche di rianimazione dei feti hanno portato alcuni tra le cliniche ostetriche più avanzate, tra cui il Mangiagalli, ad abbassare da 24 a 22 settimane il limite massimo per l'aborto. Allo stesso modo gli studi sul cervello e sul suo funzionamento intervengono nelle discussioni in merito al mantenimento in vita di persone che hanno subito gravissimi danni celebrali. Si deduce quindi che è difficile – io direi addirittura impossibile – scindere le due discipline ed impedire delle relazioni tra di loro.

 

Il problema quindi è capire quanto l'una debba influenzare l'altra e fino a che punto. A mio parere la scienza, intesa come conoscenza e ricerca teorica attraverso il metodo scientifico ed estremamente rigoroso inaugurato da Galilei e perfezionato nei secoli seguenti, è uno dei capisaldi su cui si basa la nostra cultura ed è un elemento fondamentale per migliorare la vita dell'uomo. E credo che vietare o limitare la ricerca scientifica in alcuni ambiti potrebbe determinare scoperte scientifiche nascoste e non controllate dalla comunità scientifica internazionale e quindi potenzialmente molto pericolose. L'etica invece, proprio perchè non basata su un'analisi scientifica o su una base sperimentale, può essere facilmente strumentalizzata per difendere gli interessi di un gruppo o di una persona più che un vero e proprio principio etico o religioso. In linea generale, quindi, la scienza, almeno nei suoi aspetti teorici, dovrebbe essere abbastanza libera. Ovviamente questa affermazione può venir messa in discussione quando, per portare avanti la ricerca, la scienza è costretta a svolgere esperimenti che possono apparire non conformi a principi etici. In questo caso, a mio parere, è necessario tener conto di due variabili. In primo luogo mi sembra opportuno considerare se nella ricerca viene coinvolto il mondo vegetale, animale o umano. Infatti, per quanto la ricerca debba comunque essere controllata e ridurre al minimo la sofferenza e il numero delle cavie, è diverso utilizzare come cavie delle piante, degli animali o l'uomo stesso.

 

La seconda variabile dipende dalla funzione dell'utilizzo delle cavie. Un caso è utilizzare cavie per sperimentazioni con il fine di elaborare un prodotto sicuro che non necessiti di altre cavie per la sua produzione e distribuzione e che allo stesso tempo possa guarire e salvare milioni di persone. Per esempio nel caso degli esperimenti sugli animali per la produzione di antibiotici e prodotti farmaceutici: per quanto l'uso di animali, o essere viventi in generale, come cavie possa essere ritenuto poco etico è pero` a mio parere, almeno in questo caso, giustificato. Si tratta di un caso diverso, invece, se l'utilizzo di cavie, vegetali, animali o umane che siano, non è funzionale solo alla sperimentazione di un prodotto ma anche alla sua elaborazione e applicazione pratica. Per esempio il caso delle cellule staminali: le cellule non vengono impiegate solo a scopo di ricerca ma sarebbero utilizzate anche nel curare i singoli pazienti. In questo caso, a mio parere, la ricerca deve comunque avere la possibilità di andare avanti, e sono invece le applicazioni che possono e devono essere controllate ed eventualmente fermate sulla base di principi etici stabiliti non tanto dalla religione quanto dai valori accettati da una comunità. Ovviamente l'etica, nello stabilire i limiti, deve tener conto dell'importanza della scoperta: tornando alle staminali, se con queste cellule fosse possibile curare un gran numero di patologie e migliorare sensibilmente la vita di una parte significativa della popolazione, allora è chiaro che i limiti imposti alla scienza dall'etica possono essere rivisti.

Corbellino - Una nuova etica

Una riflessione riguardo ai rapporti tra etica e scienza non può essere intrapresa senza dover subito affrontare un luogo comune che rischia di compromettere fin dalle fondamenta tutto il ragionamento che voglio intraprendere. Questo stereotipo riguarda la convinzione comune che questi siano due ambiti separati, a causa della natura degli obiettivi che etica e scienza si pongono: la prima fa riferimento a valori che si fondano su cultura, storia, ed usanze di popoli che con la determinazione di essa hanno posto la base della convivenza civile e il suo scopo è l'affermazione del “giusto”. La seconda invece (quella scienza nata in occidente nel sedicesimo secolo proprio con Galilei) volge la sua attenzione al mondo della natura per conoscerne i meccanismi che la regolano e le leggi che la definiscono, si fonda sulla razionalità e il suo scopo è l'affermazione del “vero”.

 

Il principio fondamentale a cui la scienza deve rispondere è dunque quello della verità. L'etica esprime giudizi, la scienza certezze. Dunque sono le applicazioni della scienza a dover render conto ai codici etici e non viceversa: la scienza non fa che rendere evidente ciò che è, a differenza della tecnica che produce, basandosi sulla conoscenza, strumenti ed oggetti destinati a determinati fini. La tecnica, che è più antica della scienza, è nata su basi empiriche ed ha portato, fin dalle origini della storia dell'uomo, all'invenzione e alla fabbricazione d'utensili (basti pensare all' “Homo Abilis”). La scienza intesa come esplorazione della natura, perseguita dal '600 attraverso il rigoroso ed altrettanto famoso “metodo scientifico” di Galilei, ha portato tramite successive scoperte all'acquisizione di un'enorme quantità di conoscenze che si sono tradotte nel modello di società estremamente avanzata in cui viviamo “noi occidentali”; a questo proposito non bisogna dimenticare che lo stesso Bacone scrisse in una sua opera già prima di Galileo la celebre frase “scientia est potentia” (F.Bacone, Nuovo Organo, Libro II, ed. UTET, Torino 1986).

 

A mio parere etica e scienza, originariamente separate e distanti, col passare del tempo (ed in particolar modo dal XX secolo con l'introduzione della Biologia) compenetreranno sempre più l'una nell'altra non senza contrasti; già ora è molto difficile, per la maggior parte delle scienze, parlare di scienza senza parlare di etica. Attualmente la questione è riferita in particolar modo ai numerosi contrasti che le religioni, specialmente la Chiesa Cattolica, stanno avendo con lo sviluppo scientifico e tecnologico. Questo perchè sia l'etica cristiana che l'etica in generale traggono il proprio fondamento dalla concezione, derivante da una tradizione millenaria, secondo la quale l'uomo, benché dotato di un corpo fisico e tangibile, non trova un limite in questo, ma ha in sé un “quid” in più che lo distingue dagli oggetti inanimati e da tutte le altre specie di esseri viventi che popolano il pianeta Terra. Questo “accessorio” di cui saremmo dotati viene qualificato dalle diverse religioni come “anima” o “spirito” e corrisponde a ciò che per lungo tempo è stata posto alla base dell'unicità e dell'irripetibilità di ogni individuo. Questa convinzione, presente nella nostra cultura in forme sempre più attenuate e ormai quasi inconsapevoli, continua ad alimentare l'idea che la scienza debba in qualche modo essere sottoposta a vincoli di natura etica.

 

Il progresso scientifico non dovrebbe essere condizionato nè tantomeno ostacolato (come accadde nei secoli in cui il dominio culturale della Chiesa imperversava su tutto il mondo allora conosciuto da noi Europei) da un'etica appartenente ad una religione che vede la sua genesi duemila anni fa, bensì in un' “etica moderna” e flessibile, aperta al progresso scientifico ma al contempo osservante degli elementi tipici della nostra umanità quali dignità e civiltà.

Ferrari - Cui prodest

C'è chi afferma che la scienza abbia un carattere neutro e che soltanto le sue applicazioni e i suoi derivati debbano essere regolati secondo criteri etici; la mia opinione è che la scienza, quando incide sull'uomo e sul suo destino biologico, necessariamente debba essere vincolata al rispetto della morale. Come espresso dal papa Giovanni Paolo II in una lettera alle università, l'autonomia di queste scienze “finisce là dove la coscienza dello scienziato riconosce il male del metodo, dell'esito o degli effetti”. Ritengo che il rispetto della morale nella scienza sia una fondamentale forma di controllo che permette unicamente un progresso scientifico che sia a favore dell'uomo. Il problema è che, pur supponendo che la morale sia la medesima (o comunque fondamentalmente uguale) per tutti, spesso per reggere il confronto con il mercato mondiale, le ricerche e le sperimentazioni si sottraggono a riflessioni di carattere etico, venendo meno a quella funzione della morale che assomiglia a quella della dialettica di Platone, che vagliava la conformità delle ipotesi al bene.

 

Così facendo si arriva a esiti nefasti come quello del Giappone, che ha colpito questo stato per pura casualità, ma che avrebbe potuto riguardare qualunque altro paese che si serve di centrali elettronucleari; a causa di una sfrenata corsa al progresso si è perso di vista il vero fine della scienza e del progresso scientifico: il benessere dell'uomo. Solo tenendo ben presente i dettami della morale è possibile un progresso scientifico effettivo, che sia in funzione del benessere dell'uomo e non semplicemente uno sviluppo tecnologico fine a se stesso. Ciò che più mi spaventa è la totale inerzia delle grandi potenze occidentali di fronte alla progressiva distruzione del nostro pianeta che è in corso; non si sta parlando di qualcosa di lontano nel tempo, ma di qualcosa di tragicamente attuale. Si parla del futuro delle prossime generazioni! Ormai viene fin difficile definire “egoismo nazionalistico” il comportamento irresponsabile degli stati che si sottraggono a ogni condizionamento dettato dalla buona ragione pur di raggiungere “il Progresso”; più appropriato mi sembra la definizione di “egoismo nazionalistico generazionale”, poiché la generazione al potere – a discapito dell'ambiente - insegue uno sviluppo tecnologico di cui non godrà in prima persona, ma che lascerà in eredità a una popolazione che tra la vita del nostro pianeta e la scienza, non esita a scegliere la vita. Di fronte a tutto ciò provo insicurezza, paura e un sentimento di disprezzo nei confronti di coloro che avrebbero la possibilità di cambiare le cose, ma, come criceti impazziti, continuano a correre sulla loro ruota.

Rubini - Scienza e fede

Galilei, come è ben noto, potrebbe essere considerato il simbolo del profondo cambiamento del rapporto tra scienza e religione. Questo cambiamento è scaturito dal fatto che egli stesso sosteneva fermamente l'autonomia di una dall'altra. Questa considerazione può essere condivisibile del tutto o in parte. A mio giudizio tale autonomia è auspicabile in parte, dal momento che ho trascorso tutta la mia infanzia credendo che il mondo e l'uomo stesso fossero stati creati da Dio nei sei giorni della creazione, e contemporaneamente studiando a scuola, in modo molto semplificato ovviamente, la teoria del “Big Bang”, la comparsa dei primi esseri viventi, l'evoluzione della scimmia, le varie fasi di evoluzione dell'uomo […].

 

Fino a qualche anno fa non mi sono mai posta il problema, non ho mai pensato che l'una escludeva l'altra perché ho sempre pensato alla scienza e alla religione come due discipline separate e non ho mai pensato all'influenza che l'una poteva suscitare sull'altra. Tuttavia da quando ho cominciato a studiare in modo approfondito la scienza e tutta la sua evoluzione, ho cominciato a pormi domande a cui io sola non riuscivo a rispondere. Mi sono chiesta a quale delle due discipline dover porre fede. Per cui potrei essere anche dalla parte di chi non riesce a vedere chiaramente l'autonomia, di cui parla Galilei, dal momento che mi riesce difficile conciliare l'una e l'altra. Tuttavia trovo condivisibile ciò che viene espresso da Galilei nella Lettera a Benedetto Castelli, in cui egli ci dice che i contrasti tra ciò che ci dicono le Sacre Scritture e ciò che ci dice la Scienza sono solo apparenti e che l'unico modo per far si che ciò che dice l'uno sia conciliabile con ciò che dice l'altro, è rivedere l'interpretazione della Bibbia. Non è trascurabile infatti che lo stesso Galilei pensava che sia il mondo sia la Natura derivassero entrambe dal Dio creatore.

 

Un altro problema che ci pone dinanzi Galilei è il rapporto tra scienza e morale etica. Vi è dunque chi sostiene che la scienza come conoscenza teorica, non abbia riscontri di carattere morale; d'altra parte il modo di utilizzo e le applicazioni dei suoi ritrovati, talvolta hanno bisogno di essere regolati secondo criteri etici e morali. Vi è tuttavia chi pensa che, per il carattere sperimentale e operativo della scienza, indubbiamente lo scienziato si ritrovi a compiere atti eticamente scorretti e rilevanti. Ed è questa una questione tuttora aperta. Ne è un esempio il problema etico della fecondazione assistita in primis e della fecondazione artificiale nei casi più estremi. Tuttavia vi è anche chi pensa che non esiste il contrasto tra scienza ed etica, ma il contrasto è definito unicamente tra due etiche diverse, quella laica e quella cattolica, in cui la scienza non è altro che il “fornitore” di argomenti. Ne è un esempio il genetista Edoardo Boncinelli, il quale porta a sostegno la sua tesi, esposta nel Dialogo su etica e scienza (E. Boncinelli, E. Severino - editrice San Raffaele, 2008).

 

A rispondere a questa c'è un filosofo contemporaneo, Emanuele Severino, il quale sostiene che vi è una sorta di “profonda solidarietà” tra scienza ed etica. A tal proposito egli comincia con il definire il significato della parola “etica”, essa è un parola greca ed è in Grecia che ha assunto la sua connotazione. Etica: vivere in un luogo rassicurante, dal momento che il popolo vive in accordo e non in contrapposizione con una potenza suprema. Questa potenza suprema è la “verità”. Per confutare la tesi della “neutralità” Severino prende in esame il significato che il filosofo Nietzsche (1844-1900) dà della scienza: “la scienza nasce dalla paura, così come l'etica, perché difendersi alleandosi alla potenza vuole dire cercare di andare oltre la paura”. Inoltre lo stesso Boncinelli pensa che non vi possa essere un dialogo tra scienziati e filosofi, in quanto lo scienziato si propone di raggiungere qualche conclusione, pur provvisoria, mentre il filosofo mette tutto in discussione e “vuole trovare il pelo nell'uovo - che c'è sempre perché la conoscenza perfetta non è di questo mondo”. Dunque “tale autonomia” è auspicabile o no? Io penso che sia difficile trovare una giusta posizione in questo “dialogo”, tuttavia ciò che penso ora è abbastanza coerente con ciò che ho espresso all'inizio, prima di portare queste due tesi. Per me questa autonomia è auspicabile, con il giusto riguardo, nel senso che, nonostante io sia credente, non sento il bisogno di cercare sempre una conciliazione tra fede e scienza.

Zucchelli - L’autonomia e i condizionamenti della scienza

Galileo Galilei si può definire l'antesignano dei moderni ricercatori e ha subito e pagato duramente le conseguenze delle sue scoperte. Come tutti gli scienziati che si propongono con teorie rivoluzionarie per la proprio epoca, egli si è dovuto scontrare con i poteri, specialmente quello della Chiesa, che nella storia spesso si sono rivelati molto conservatori e di intralcio a innovazioni della modernità. La scienza di oggi, a differenza del periodo in cui è vissuto Galilei, ha ampliato notevolmente il suo campo di ricerca. Credo che oggi le scoperte scientifiche non siano condizionate solo da problemi morali ed etici legati alla teologia, ma soprattutto dai finanziamenti interessati, che le multinazionali investono in questo campo. Infatti gli scienziati sono condizionati dalle richieste e dalle scelte imposte loro dal mercato e dalla mancanza di finanziamenti pubblici.

 

Lo stesso pensiero scientifico viene indirizzato dal mercato e persone in grado di progredire in teorie non sfruttabili commercialmente, non possono verificare le loro intuizioni. L'altro vincolo che condiziona l'autonomia della scienza, principalmente in Italia, è quello delle opinioni della Chiesa e dei suoi più alti rappresentanti (vescovi e papa). Ci sono molti esempi di scoperte e progressi scientifici ostacolati da movimenti di opinione nati in ambiente religioso, come la procreazione assistita o i metodi contraccettivi. Io ritengo che la scienza debba progredire liberamente nella ricerca e che gli strumenti da essa forniti debbano essere messi a disposizione di tutti, i quali potranno poi utilizzarli secondo i loro convincimenti morali e religiosi. A mio avviso il problema morale subentra quando di queste scoperte si appropriano persone che ne fanno un uso moralmente inaccettabile, come l'energia nucleare applicata alle bombe atomiche, o la riproduzione assistita operata su donne ultrasessantenni.

Antoniazzi - Rapporto scienza e tecnologia e le sue conseguenze in ambito scolastico

E' a partire da Galilei che il concetto di scienza si è strettamente legato a quello di tecnica (tanto che sembra si siano fuse indissolubilmente in una cosa sola), ma questo rapporto scientifico-tecnologico che ha ricevuto tanti consensi nel corso dei secoli fino ad affermarsi incontrastato ai giorni nostri, ha subito, credo, delle trasformazioni radicali dalle sue origine ad oggi. Se infatti storicamente gli sviluppi teorici della scienza precedevano le tecnologie che da essi derivavano come conseguenze (anche se spesso impreviste e incontrollate), ora la tecnologia sembra avere uno sviluppo suo proprio, autonomo dalla scienza fino al punto di autogenerarsi. Soprattutto le tecnologie dell'informazione e le biotecnologie si evolvono in una miriade di prodotti disordinati e scollegati, senza che siano disponibili teorie o approcci in grado di trarre un bilancio su possibilità e limiti di questi sviluppi. Un processo d'evoluzione simile, si può dire, a quello del Web, la cui crescita scaturisce dall'intervento di singole persone da ogni angolo del pianeta, ma senza un progetto generale preciso o una qualche coordinazione a livello più alto.

 

E' evidente la difficoltà che si presenta a chiunque cerchi di imporre limiti a qualcosa di così indefinito e in continua crescita. Eppure non si può, a mio parere, sperare che quella che si può chiamare “tecno-scienza” si autogoverni per il meglio, cessando di essere un prodotto della ragione umana, né si deve rinunciare a porre delle delimitazioni che aiutino a controllarla. Lo sviluppo tecnologico, ad ogni modo, ha trasformato molti ambiti della nostra vita, come ad esempio l'educazione scolastica. Anche se l'Italia non si può considerare il paese più avanzato in questo senso, se si esaminano i risultati ottenuti dal sistema anglosassone (applicato negli Stati Uniti come in Australia) si nota come i computer siano stati pienamente integrati nell'insegnamento. Che questo metodo più pratico ed informatico sia il migliore è ancora da provare, ma certamente partendo dai giochi multimediali per i bambini fino alle ricerche nel web dei liceali, gli studenti in questo modo entrano in contatto con conoscenze fondamentali per la vita quotidiana come per l'ambito lavorativo. Tuttavia, proprio l'infinita varietà di proposte offerte da Internet unita alla naturale difficoltà di controllare gli strumenti tecnologici, rende necessaria una regolamentazione, che sembra però difficile mettere in pratica. E' infatti impossibile monitorare i movimenti di tutti gli alunni sui singoli pc, per quanto esistano tecniche collaudate per bloccare determinati siti web (come i più comuni social network). E se è arduo compito mantenere l'attenzione degli alunni in situazioni più “classiche”, si provi a fare concentrare un classe di liceali armati durante le lezioni di computer e spesso con una conoscenza informatica più avanzata di quella dei professori.

 

Per quanto riguarda poi i compiti in classe diventerebbe una condizione ridicola ed insostenibile. Una proposta interessante e ragionata, invece, è stata portata avanti in diversi licei, in particolare anche nella nostra scuola: la registrazione delle lezioni così da poter riascoltarle a casa, condividerle con altri studenti o semplicemente recuperare le ore di assenza, stimolando contemporaneamente l'impegno dell'insegnante. Questo è un tentativo di integrazione dell'informatica nell'educazione accompagnata da limiti volti ad evitare un utilizzo scorretto. Un altro esempio è questo stesso progetto, che, senza i mezzi tecnologici, non sarebbe stato realizzabile, per la sua natura interdisciplinare e interclasse. In conclusione, rimane pur sempre centrale la figura insostituibile di un insegnante “umano”, che, stando al passo coi tempi, sappia prevenire le infrazioni facilitate dalla tecnologia, ma sappia soprattutto sfruttare le nuove possibilità che essa offre.

Turrisi - L’età della tecnica (il progresso come distruzione)

Il valore e la portata della rivoluzione scientifica, realizzatasi a cavallo fra XVI e XVII secolo con le teorie di Bacone, Galileo e Cartesio, furono enormi in quanto venne capovolta la visione, inaugurata dagli antichi Greci, secondo cui la tecnica era inferiore alla natura e quest'ultima andava contemplata nel tentativo di catturarne le leggi. Il metodo scientifico, il fondamento della cosiddetta scienza moderna, consisteva invece nel formulare delle ipotesi, sottoporle a esperimento e assumerle come leggi di natura nel caso la natura stessa avesse confermato l'esperimento. Nella Critica della ragion pura, Kant cita due nomi di italiani: Galileo e Torricelli che, nei confronti della natura, “non si sono comportati come gli scolari che accettano tutto quello che dice il maestro, ma come i giudici che obbligano l'imputato a rispondere alle loro domande”. Ciò significa che l'uomo ha trovato il metodo con cui leggere la natura e organizzarla secondo i propri progetti. Insomma, la scienza, servendosi della tecnica, non guarda il mondo per contemplarlo ma per manipolarlo, per trasformarlo.

 

Con il passare dei secoli la tecnica si è trasformata: non è più un mezzo, ma il primo fine da raggiungere per poter poi perseguire tutti gli altri scopi in quanto la tecnica è diventata la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, anche per decidere le sorti di una guerra (è quasi spontaneo fare l'esempio dello sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ma si può considerare anche la guerra fredda dove il progresso tecnologico statunitense determina, insieme comunque ad altri fattori, il crollo dell'Unione Sovietica). Questo importantissimo fatto ha delle conseguenze enormi sul piano antropologico e in particolare su quello etico. Ma ora il problema è: con quale morale è possibile rapportarsi agli eventi tecnico-scientifici della nostra epoca? Per voler dare una risposta a questo quesito bisogna innanzitutto considerare l'epoca, la società in cui viviamo: il filosofo contemporaneo Umberto Galimberti l'ha definita “età della tecnica” dove “disponiamo unicamente di quel tipo di pensiero in grado di rispondere al richiamo dell'utile e del vantaggioso” e dove “tutto ruota intorno all'ottimizzazione del rapporto mezzo-fine”. Ed è stato proprio il domino della tecnica a modificare il nostro modo di pensare, di interagire con gli altri individui, di sentire emotivamente. Ancora una volta possiamo constatare che la tecnica non è più un mezzo a disposizione dell'uomo, ma è il fattore stesso che determina le nostre modificazioni non solo a livello collettivo ma anche individuale.

 

Quindi, ancora prima di asserire che il futuro sono le energie rinnovabili, è necessario porsi alcune domande su come è stato possibile che la scienza/tecnica abbia preso il sopravvento sull'uomo a tal punto che l'uomo stesso, oserei dire, è diventato un mezzo della tecnica. Invertire questa tendenza appare impossibile in quanto oggigiorno la società, e in particolare quella occidentale, non può fare a meno della tecnologia, diventata ormai la sua componente essenziale.

Ma ciò che più ci spaventa è il fatto che questo costante e incontrollato progresso tecnologico porterà inevitabilmente a un'autodistruzione del genere umano (basti pensare alla potenza dell'energia nucleare che nel caso sfuggisse al controllo umano potrebbe causare una catastrofe di portata mondiale). Forse quando le grandi potenze occidentali abbandoneranno questa linea politica ed economica tutta volta all'utile e si renderanno conto del danno che la tecnica sta arrecando alla natura, al nostro pianeta, sarà troppo tardi.

Villaschi - Lentius, profundius, suavius

Prometeo scatenato. Così il filosofo tedesco Hans Jonas (1903-1993) definisce l'uomo che, con l'inarrestabile e incontrollato progresso dell'odierna civiltà tecnologica, sta minacciando la sopravvivenza stessa del globo. Se da un lato infatti la civiltà moderna può oggi godere di benefici un tempo impensabili, frutto dello sviluppo tecnologico e scientifico che ha subito un'accelerazione proprio in epoca contemporanea, dall'altro tuttavia ci si è trovati ad affrontare tutte le conseguenze negative del caso. Particolarmente evidente è il problema legato all'ambiente: l'uomo, mosso dal desiderio di progresso e di miglioramento delle proprie condizioni di vita, non ha però tenuto conto delle conseguenze delle sue azioni e non ha considerato che un vero progresso può passare solo attraverso il rispetto e la preservazione della natura e dell'ambiente con cui egli si trova a contatto quotidianamente. Gli esempi a tal proposito si sprecano: basti pensare al riscaldamento globale, al problema dell'inquinamento dell'aria e delle piogge acide, al disboscamento (nella sola Amazzonia in 30 anni sono stati distrutti 55 milioni di ettari di foresta, l'equivalente di una regione vasta quanto la Francia), all'inquinamento delle acque, alla cementificazione, etc.

 

Per non parlare dei disastri ambientali causati direttamente o indirettamente dall'uomo; di scottante attualità, data la grave situazione verificatasi in Giappone, il problema del nucleare, esempio paradigmatico di come una grande scoperta dell'uomo possa avere avuto applicazioni pratiche tremendamente negative (la bomba atomica), ma che anche in campo civile pone non pochi interrogativi dato il problema delle radiazioni, delle scorie, della sicurezza, etc. Il progresso dell'uomo ha quindi portato a diversi problemi e solo recentemente e con lentezza è iniziata a subentrare una nuova mentalità: ci si è resi finalmente conto che un progresso incontrollato e smisurato non poteva essere tollerato ancora per molto. Tuttavia non è stato fatto ancora abbastanza, anzi si è fatto veramente poco! Quello che è importante affermare è che il vero progresso tecnologico è quello che è a favore dell'uomo e non contro. E tale è quel progresso che prima di tutto pensa a salvaguardare l'ambiente e il mondo in cui l'uomo vive, prima di soddisfare la sete di consumo e il desiderio di potenza dello stesso. La scommessa che abbiamo di fronte oggi è proprio questa e l'uomo ha il dovere di adoperarsi a tal proposito, prima di tutto nei confronti delle generazioni future che non devono pagare gli errori di quelle precedenti. Perché questo avvenga credo che innanzitutto occorra un generale cambio di mentalità della società e del modo di intendere il progresso e di pensare al futuro. Occorre fermarsi e riflettere; sostituire il motto olimpico, diventato oggi nostra norma quotidiana, citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte) con il suo speculare lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce).

Malazzi - Fede, etica e scienza

Il rapporto tra Fede e Scienza fu al centro della vita di Galileo Galilei. Rapporto che in quegli anni si tramuta in contrasto, causando la morte di numerosi scienziati, considerati eretici. Lo stesso Galilei è processato per il suo aperto sostegno alle teorie copernicane e costretto ad abiurare le sue tesi.
Qual è il rapporto tra Scienza e Fede? Sono da considerarsi autonome e scollegate tra loro o piuttosto sottomesse l'una all'altra? E in quest'ultimo caso, quale delle due deve prevalere sull'altra?
Tommaso d'Aquino (1224-1274) sostiene che, nell' eventualità in cui le nuove scoperte scientifiche entrino in contrasto con il testo sacro, sia la Scienza a doversi sottomettere alla Fede: «Lo scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa» (Tommaso d'Aquino).


Opposto è invece il pensiero di Giordano Bruno (1548-1600), frate domenicano e fermo sostenitore delle teorie copernicane, arso vivo in Campo dei Fiori a Roma. Il filosofo, contemporaneo di Galilei, conferisce alla scienza una maggiore importanza e ritiene il cristianesimo una cattiva religione, che spinge l'uomo alla passività, impedendogli di compiere opere utili all'umanità. La religione è tuttavia necessaria per impedire che il popolo cada nella ben più dannosa superstizione. Bruno subisce un lungo processo durante il quale rifiuta di abiurare le sue tesi accettando di morire per esse.
Personalmente ritengo che la scienza non possa essere sottomessa e influenzata dalla religione. Viviamo ormai in un'epoca in cui la tecnologia ci permette di avere evidenza della veridicità delle osservazioni e delle scoperte scientifiche. Come si può continuare a credere in qualcosa che ormai è stato dimostrato essere falso?
Galilei sostiene questa posizione criticando fermamente gli Aristotelici della sua epoca, che si affidano ciecamente agli insegnamenti del maestro senza mettere in dubbio la loro veridicità. Galilei sottolinea che la sua critica non è rivolta ad Aristotele. Il filosofo greco, non possedendo infatti alcun strumento scientifico, era legittimato a fare quelle affermazioni. Tuttavia, i contemporanei di Galilei, avendo la prova certa che le teorie aristoteliche risultano errate, sbagliano nel continuare a sostenerle.


«Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica piú a cercar d'intender la forza delle sue dimostrazioni» (Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi - Giornata seconda).
Così come la Filosofia, la Fede non può considerarsi vera o salda se teme gli attacchi della Scienza. Ci sono cose che la Scienza non sarà mai in grado di spiegare e, in questo caso, probabilmente è giusto affidarsi alla Fede. Dopotutto l'uomo lo ha sempre fatto. Fin dall'antichità tutto ciò che l'uomo non è in grado di spiegare diviene materia di fede. In seguito, con l'ampliarsi delle sue conoscenze, l'uomo muta anche le sue credenze religiose. Prendiamo per esempio l'antica Grecia con il suo pantheon di divinità. Vi era un dio per ogni cosa: un dio del mare, un dio del vento, un dio che scatenava temporali e puniva gli uomini con i suoi fulmini. Tuttavia, alcuni secoli più tardi, i Greci non credettero più nell'esistenza di divinità così simili agli uomini. Ed esse vennero subordinate ad un'unica grande divinità, Ananke, la Necessità.


Al contrario della Religione, la Scienza, pur evolvendosi, si mantiene oggettiva ed unitaria e nuove scoperte sostituiscono quelle ormai superate. In materia di fede non vi è invece unitarietà. Esistono culti differenti, fondati sull'esistenza di divinità profondamente diverse tra loro. Anche all'interno della stessa religione possono esistere differenze di pensiero, tali da determinare uno scisma o la necessità di proclamare un concilio per ridare unità alla Fede. Per esempio il Concilio di Nicea, proclamato nel 325, si proponeva di stabilire quale fosse la reale natura di Cristo. Uno dei fondamenti della fede cattolica quindi risulta frutto di una decisione umana.
Uno dei motivi di contrasto tra Scienza e Religione, di cui si è molto discusso negli ultimi anni, è la questione dell'aborto.
La Chiesa condanna senza riserve l'interruzione volontaria della gravidanza e la sua legalizzazione, presentando la situazione come una “Tragedia europea”(Marta Lago, L'Osservatore Romano 5 marzo 2010). Sebbene il numero di aborti in Europa continui a essere elevato, la situazione negli ultimi anni è notevolmente migliorata e, in una relazione del 2009 del Ministero della Salute, si legge: « Dopo l'introduzione, nel 1978, della legge 194 si è verificato una netta riduzione delle interruzioni di gravidanza. Il picco è stato registrato nel 1982 con 234.800 interventi. Da quel momento il numero si è ridotto fino a stabilizzarsi a partire dal 1995. Nel 2008 si è registrata una diminuzione del 48,3% rispetto al 1982» . La legalizzazione dell'aborto ha contribuito inoltre a ridurre drasticamente la percentuale di aborti clandestini che, non essendo sempre effettuati da medici, spesso causavano la morte della donna oltre che a quella del feto.


È perfettamente comprensibile che la Chiesa, riconoscendo come imprescindibile il diritto alla vita, si schieri contro l'aborto. Tuttavia, se è necessario tutelare la vita di ogni individuo, perche condannare la contraccezione? Soprattutto in Africa, dove migliaia di persone hanno contratto il virus dell'AIDS, diffondere l'uso di metodi contraccettivi potrebbe salvare loro la vita, impedirebbe la diffusione della malattia ed eviterebbe altresì gravidanze indesiderate. Anche su questo punto la Chiesa è irremovibile.
Il 12 Febbraio 1997, il Vaticano pubblica un documento indicando ai sacerdoti l'atteggiamento da mantenere riguardo l'uso dei contraccettivi:
«La Chiesa ha sempre insegnato l'intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale reso intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irriformabile. La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana» Sandro Magister (Giornalista per il settimanale “l'Espresso”, specializzato in informazione religiosa, in particolare sulla Chiesa cattolica e il Vaticano:- www.chiesa.espressonline.it ).


Da sempre, la Chiesa non entra in contrasto soltanto con la Scienza ma anche con l'Etica. Quando una scoperta scientifica può essere legittimamente definita etica? L'Etica è la parte della Filosofia che determina cosa è bene e cosa è male. A mio parere, per essere definita etica, una scoperta scientifica non deve avere come fine solo il bene dell'umanità, ma anche quello di tutte le altre specie viventi e, in generale, il bene del pianeta. Condurre ricerche che influiscono negativamente sulla nostra vita non ha alcun senso. Spesso, purtroppo, ad indirizzare gli investimenti per le ricerche è solo la previsione del profitto che potrà derivarne.
Un ambito scientifico che può essere considerato etico è quello dell'energia rinnovabile. Il potenziamento degli impianti che producono energia a impatto zero permetterebbe di ridurre notevolmente l'inquinamento e le malattie ad esso collegate. Inoltre contribuirebbe alla salvaguardia dell'ambiente e un miglioramento delle condizioni di vita degli esseri viventi. Nonostante i grandi vantaggi che deriverebbero da un impiego più massiccio di energie rinnovabili, la ricerca non è ancora sufficientemente incentivata, in quanto gli interessi economici legati al commercio e alla vendita del petrolio ne ritardano lo sviluppo e la diffusione a livello mondiale.


Un'altra recente scoperta, che può legittimamente essere definita etica, è quella delle cellule staminali adulte. La ricerca su questo tipo di cellule, grazie alla sua eticità, è stata accettata anche dalla Chiesa. In un articolo di Stefano Stimamiglio, comparso su “Famiglia Cristiana”, si legge: « Le cellule staminali adulte, o cellule "somatiche", sono cellule presenti in ciascun organismo, ma si caratterizzano dalle altre perché sono cellule non differenziate e perché possono riprodursi in maniera pressoché illimitata dando vita ad altre cellule staminali e a cellule precursori di una progenie cellulare destinata a differenziarsi e a dar vita a tessuti e organi, come il cuore, il fegato, le ossa, etc.» (Cfr. Elio Sgreccia, Manuale di bioetica, vol. I, Vita & Pensiero, p. 681). In altre parole alcune malattie degenerative potrebbero essere curate da applicazioni scientifiche che utilizzano questo tipo di cellule. L'utilizzo delle cellule staminali adulte, a differenza di quanto accade con le staminali embrionali, non implica la distruzione di un embrione, e quindi di una vita umana.

 

Per questo motivo sono ritenute eticamente accettabili.
Un altro problema che lega l'Etica alla sperimentazione scientifica è quello relativo all'utilizzo di esseri viventi per gli esperimenti. Ogni anno migliaia di animali vengono sacrificati per permettere ai ricercatori di studiare gli effetti collaterali di nuovi farmaci e misurarne l' efficacia. Quando l'uccisione di altri esseri viventi è finalizzata a scoprire nuove cure per salvare un gran numero di vite umane, sebbene non possa essere definita giusta, può tuttavia essere compresa e accettata. Al contrario, ritengo assolutamente inaccettabile l'utilizzo di cavie per la sperimentazione in campo cosmetico, magari al solo scopo di ritardare la comparsa di rughe, ciò è solamente segno di crudeltà. L'utilizzo di animali per la sperimentazione è alla base dell'errata considerazione che la vita dell'uomo sia più importante di quella degli altri esseri viventi. Eppure il pianeta ha prosperato per millenni prima della sua comparsa, al riparo dall'inquinamento e dall'eccessivo sfruttamento delle risorse. L'uomo è davvero superiore agli altri animali? Nella Bibbia si afferma il contrario:  «Il destino degli uomini / e il destino delle bestie / è un unico destino: / come muoiono queste / così muoiono quelli, / in tutti c'è un unico alito di vita. / L'uomo non è superiore alla bestia» (Qohelet 3,19).

Di Pippo - Religione e scienza

Rapporto tra religione e scienza: Galileo Galilei. Lo sviluppo tecnologico ha remote radici nella storia: Copernico è considerato l'iniziatore della rivoluzione scientifica. Si parla di rivoluzione scientifica perché il sapere rinnova il concetto di conoscenza: ha origine un'altra forma di sapere fondata su diversi presupposti, destinata a diventare dominante nel mondo occidentale. Le ricerche di Galileo, sostenitore della teoria di Copernico, suscitano una reazione nel mondo culturale e della Chiesa, che lo sottoporranno ad un processo per eresia e lo condurranno agli arresti domiciliari. La posizione di Galileo è in netto contrasto con la Chiesa, che vede a rischio la sua autorità e deve riaffermare l'indiscutibilità dell'auctoritas della Bibbia nel tempo della Riforma e della Controriforma. Lo scienziato è profondamente cattolico e sente come esigenza fondamentale il conciliare il suo lavoro di ricerca con le verità rivelate, ponendosi il problema in relazione alla fede. Afferma che non ci sia contrasto tra ciò che racconta la Bibbia e ciò che è spiegato dalla scienza: «il compito delle sacre scritture non è spiegare come va il cielo, ma come raggiungere il cielo (ruolo etico-salvifico)».

 

Galilei afferma dunque l'autonomia della scienza rispetto all'influenze metafisiche-teologiche da un lato: la scienza è fondata su una legge e sulla sua verifica, la religione è un qualcosa di divino, basato sulla fede, dall'altro aggiunge che la scienza è basata sulla ragione umana e sui sensi, caratteristiche divine che sono concesse all'uomo in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio. Anche oggi la questione tra scienza e religione è molto discussa: sono spropositate le ingerenze religiose della Chiesa nell'ambito scientifico e tecnologico. 

Scienza: neutralità rspetto alle questioni morali? Indubbiamente c'è un rapporto indissolubile tra scienza e politica: basti pensare al fatto che, nella maggior parte dei casi, la politica stanzia i soldi per la ricerca. Inoltre tutto ciò che accade e che è azione umana ha una ricaduta politica, in quanto la politica è la gestione del potere nella società e tutto ciò che facciamo ha anche un riscontro sociale. Certamente nel settore scientifico lo scienziato compie atti eticamente e politicamente rilevanti.

 

Non si può certo sostenere che lo sviluppo scientifico abbia un carattere neutro rispetto ai problemi morali: ci sono numerosi esempi che si possono riportare rispetto all'uso amorale della scienza e delle nuove scoperte per finalità criticabili, come la sofferenza di un animale che è sottoposto ad analisi per provare gli effetti di alcune sostanze, o addirittura terribili, come la creazione della bomba atomica che causa milioni di morti. La morale infatti deve avere un fondamento filosofico e non basato sull'utile. D'altra parte l'orizzonte scientifico si trova anche a confronto con una sorta di monolite: l'etica cattolica, che critica l'evoluzione scientifica in determinati settori come l'aborto o l'eutanasia, secondo quelli che sono i cardini fondamentali della sua etica morale. Si può riscontrare che, facendo riferimento al passato, nei paesi dove la religione non era fortemente radicata, o anche in quelli protestanti e non cattolici, lo sviluppo sociale nel settore economico e tecnologico scientifico sia avvenuto prima e molto più rapidamente rispetto al nostro paese.

Fraschini - Il rispetto dell’altro nello sviluppo della scienza

L'impiego di materiale sempre più tecnologico continua a suscitare dibattiti su quanto sia giusto il loro utilizzo e se sia lecito o meno inserire un giudizio etico in campo scientifico. E non vengono coinvolte solo scoperte e pratiche più “estreme”, come clonazione ed esperimenti su animali ed esseri viventi, ma anche innovazioni mediche, come ad esempio la pillola abortiva (o aborto in generale), la fecondazione assistita o l'impiego delle cellule staminali per la cura del cancro. Posizioni storicamente più conservatrici, come quella della Chiesa, si dicono contrarie alle scoperte sopra nominate per i seguenti motivi: l'aborto è impensabile perché sinonimo di omicidio, le cellule staminali no perché richiedono la conservazione di cordoni ombelicali o il prelevare le cellule da embrioni creati in laboratorio. Altro tentativo di manipolare la creazione. Forse però bisognerebbe pensare che da Dio ci è stato dato il dono della vita e l'uomo cerca qualsiasi mezzo per migliorarla e per cercare rimedio alla vasta quantità di malattie che la affliggono.

 

Quindi perché non cercare una cura per il cancro, male che ha sempre terrorizzato l'uomo perché si sentiva inerme di fronte ad esso. Forse sapere che sono in corso delle ricerche per una possibile soluzione può aiutare i malati ad avere più speranza e più fiducia in una possibile guarigione. Certo non bisogna esagerare né lasciarsi prendere dall'euforia del “potere” dato dalla scienza. Giusto qualche giorno fa sono rimasta stupita guardando una puntata di Mistero, condotto da Raz Degan: una delle indagini riguardava segnalazioni di esperimenti condotti su esseri umani in alcuni basi segrete in America. Stando a queste informazioni, nelle suddette basi americane si svolgevano esperimenti sul sistema nervoso per conferire all'individuo sensi “paranormali” come un'acutissima percezione uditiva e una perfetta vista a lunga distanza, in modo da utilizzare questi soggetti mutati durante i combattimenti. Sentendo queste cose mi viene spontanea una domanda: dove sta il rispetto verso il nostro prossimo? “In nome del progresso della scienza sono stati aboliti o non posti certi limiti con la conseguenza che il senso stesso del limite diventa sempre più precario”. (Sintesi de Il principio di responsabilità di Hans Jonas, a cura di Giovanni Polimeni). Per questo motivo oggi si cerca di porre dei limiti, dei “paletti” e di giudicare anche in senso etico e morale il progresso. Però non possiamo pensare che si debba usare l'etica di cinquanta o sessant'anni fa perché da allora il mondo è cambiato e anche il pensiero della gente e le nuove tecnologie hanno portato l'uomo ad un agire diverso.

 

Dobbiamo prendere come limite il rispetto per l'altro così come per la natura: se possiamo agire indiscriminatamente con la nostra vita, non possiamo fare altrettanto con quella altrui ma dobbiamo pensare che dopo di noi ci saranno altre generazioni che avranno bisogno di un mondo integro dove vivere e non devastato dal nostro agire. Oggi possiamo dire con cognizione di causa che ci sono state scoperte a lungo andare dannose, come l'impiego della benzina per le automobili che ha prodotto inquinamento e continua a causare piogge acide e l'ingrandimento del buco nell'ozono; tuttavia ci sono altre invenzioni davvero necessarie che hanno aiutato l'uomo: un esempio sono le strutture antisismiche. Pensando alla cronaca attuale, quale sarebbe stato il danno in Giappone se non fossero stati inventati palazzi capaci di resistere ai terremoti? Perché i palazzi in Giappone sono crollati a causa dell'onda dello Tzunami, non per le violente scosse sismiche. Forse aveva ragione Machiavelli ad essere pessimistico sulla condizione naturale dell'uomo, però come afferma Jonas, la natura offre un esempio autentico di altruismo: la cura, le attenzioni e l'amore verso i propri figli. Allora dovremmo provare ad avvicinarci alla scienza tenendo presente come vorremmo che un nostro figlio vivesse, in che mondo potesse godere della sua vita. Forse, solo allora, tenendo sempre presente la cura del padre sul figlio, potremo garantire il diritto di tutti ad un futuro in cui non ci sono sprechi né ricerche per la brama di potere e onnipotenza, ma si fanno scoperte per l'uomo e per migliorare la sua condizione di vita.

Jarach - Galileo Galilei e la Fede

Secondo Galileo il testo sacro, in quanto ispirato da D.o, non può contenere errori e menzogne:  «Se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole ». Galileo critica l'interpretazione letterale della Bibbia, e così facendo evidenzia la coerenza della propria posizione con ciò che era stato detto nel Concilio di Trento, che ammetteva (contrariamente a ciò che pensavano i protestanti) una pluralità di significati del testo sacro. Infatti da una interpretazione letterale della Bibbia, essa si mostra piena di eresie e addirittura bestemmie, attribuendo a volte a D.o caratteristiche e difetti propri degli uomini. Gli interpreti devono quindi svelare i veri significati del testo sacro, celati dietro un linguaggio comprensibile ai più:  « Anzi, se per questo solo rispetto, d'accomodarsi alla capacità de' popoli rozzi e indisciplinati, non s'è astenuta la Scrittura d'adombrare de' suoi principalissimi dogmi, attribuendo sino all'istesso Dio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza chi vorrà asseverantemente sostenere che ella, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra o di Sole o d'altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i limitati e ristretti significati delle parole? ».


Secondo Galileo era improprio ricorrere alla Bibbia nelle discussioni scientifico-naturali. Sia la natura che le Scritture procedono da D.o, ma vi è tra loro una differenza: le Scritture per farsi capire da tutti adoperano un linguaggio facile, che a volte si allontana dal vero, se si segue un'interpretazione letterale. La natura invece opera secondo leggi immutabili, e non si cura di renderle chiare agli uomini. Il linguaggio della natura è sempre veritiero. Dunque, anche se qualche passo della Bibbia ci trae in inganno, se sappiamo leggere bene il testo della natura, non dobbiamo dubitare di ciò che ci mostra l'osservazione sensibile.: « non debba in conto alcuno essere revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch'avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato ad obblighi così severi com'ogni effetto di natura». Inoltre Galileo afferma che la Bibbia ha scopo morale e salvifico e non scientifico e che, come diceva il cardinale Baronio (1538-1607) l'intenzione dello spirito è di insegnarci come si va in cielo e non come va il cielo. Inoltre Galileo ritiene che se la Bibbia avesse rivelato realtà scientifiche, avrebbe reso il popolo restio, poiché andava contro l'umano sentire. In sintesi, poiché Galileo ammette una verità sola, egli ribadisce la necessità di un'interpretazione diversa da quella letterale. Compito di queste altre interpretazioni è comunque la Santa Madre Chiesa, come aveva stabilito il Concilio di Trento.


L'inizio del conflitto scienza-etica è dunque da stabilirsi proprio con Galileo. Ma mentre all'epoca la Chiesa, che rappresentava l'etica, perdeva veridicità poiché sembrava andare contro le premesse prime della nuova scienza, oggi l'etica, di certo non più identificabile con la religione, ha lo scopo di far riflettere sulle conseguenze che derivano da determinati esperimenti o studi, e non più sulle premesse. Importante è riflettere sulle scoperte fatte e sulle attuazioni pratiche che da queste scoperte derivano. Sono esse infatti che devono essere regolate dall'etica e non la scienza in generale. Un esempio lampante è ciò che è accaduto all'inizio del secolo scorso, con gli studi di Einstein, che portarono alla realizzazione della bomba atomica. Siamo tutti concordi nel criticare gli effetti di questa potentissima arma e ritenerli eticamente scorretti, ma d'altra parte come potremmo criticare le scoperte di uno scienziato, che ha studiato e ricercato con il puro scopo di scoprire? Credo sia difficile, se non impossibile, dare delle regole e stabilire i confini tra etica e scienza, tuttavia cercherò di far emergere i problemi del nostro tempo e cercherò di far riflettere su questa problematica che da oltre 400 anni fa parte della nostra quotidianità.
Degno di essere citato, è il problema sul dibattito bioetico. Nella procreazione assistita vengono utilizzati solo parte degli embrioni nati. È etico utilizzare gli embrioni, che comunque per legge andrebbero soppressi, per studi medici? Oppure in considerazione del fatto che l'embrione è potenzialmente persona esso non può essere in ogni modo toccato? E ancora, l'uomo possiede conoscenze tali da far sopravvivere la vita sempre più a lungo.

 

Quando è etico rinunciare all'attività delle macchine e quindi finalmente dichiarare fine ad una vita vegetativa? Nuovi studi di neurobiologia hanno dimostrato che la vita vegetativa ha una sua dignità e attività cerebrale, e non può essere quindi considerata morte, prendendo come definizione di morte l'assenza di attività elettrica cerebrale. Il dibattito etico può ancora riguardare la procreazione di un figlio come possibile futuro donatore di un figlio malato già esistente. È giusto che il genitore decida che il neonato sia donatore di cellule atte alla sopravvivenza del fratello? Esiste la remota possibilità che il donatore vada incontro a morte come conseguenza del trapianto; è eticamente corretto dare la vita ad un essere che ha come primo scopo quello di aiutare un altro essere vivente a vivere, e solo poi vivere anch'esso? Come ho precedentemente detto, è molto difficile dare delle risposte e avere una opinione definitiva. Citando il Prof. Andrea Porcarelli, Docente di Pedagogia generale e sociale all'Università di Padova, Presidente del Centro di Iniziativa Culturale di Bologna, Direttore scientifico del Portale di Bioetica,  «L'uomo inizia ad agire moralmente prima di iscriversi all'università, prima di uscirne, prima di entrare a far parte della comunità scientifica; la domanda sui criteri dell'agire morale precede dunque (nella storia di ogni uomo) l'eventuale domanda sui criteri etici del suo agire in quanto scienziato.

 

Allo stesso modo alcuni autori propongono di inquadrare le problematiche etiche suscitate dalla scienza all'interno del più vasto panorama delle riflessioni etiche in generale. In altri termini potremmo dire che la dimensione etica è intrinseca al sapere tecnico-scientifico in quanto sapere "umano" ». Anche senza risposte certe, l'uomo è tenuto in quanto uomo e poi in quanto scienziato ad agire ab initio in modo etico, e non deve esserci un etica sovraimposta alla scienza in un secondo momento ma la scienza stessa dovrebbe avere una riflessione sul proprio agire. Allontanandoci dal mondo della sanità, il problema del rapporto etica-scienza riguarda anche l'uso della biotecnologia, per esempio, nell'agricoltura. È etico sfamare oggi a minor prezzo più persone sottovalutando un possibile rischio cancerogeno futuro? È importante riflettere prima, per sapere che strada vogliamo percorrere.
«Gatto del Cheshire », chiese Alice. «Mi diresti per favore, che strada devo prendere per andarmene da qui? » «Dipende molto da dove vuoi andare », disse il Gatto. «Non mi importa molto il dove », disse Alice. “Allora non importa quale strada prendi», disse il Gatto. (Charles "Lewis Carroll" Dodgson).

Sala - Una nuova rivoluzione scientifica

Lo sviluppo tecnologico, dovuto alla nuova scienza inaugurata da Galileo e Newton nel Seicento, ha plasmato la nostra epoca e le sue caratteristiche come noi le conosciamo. Innanzitutto ha permesso un'azione più incisiva dell'uomo sull'ambiente, provocando lo sviluppo della produzione agricola prima e dell'industria poi. Da un lato questo ha garantito migliori condizioni di vita ai popoli, per lo meno quelli occidentali: maggior durata della vita, maggior disponibilità di cibo, migliori condizioni igieniche, allargamento diffuso del benessere economico, e molto altro.
D'altra parte spesso le tecnologie sono state applicate senza valutare i possibili effetti nocivi sull'ambiente o la limitata disponibilità delle risorse naturali: per esempio il motore a scoppio è stato usato senza pensare all'inquinamento dovuto alla combustione degli idrocarburi né alla loro limitata disponibilità quantitativa.


Solo in tempi recenti è nata una sensibilità verso questi temi e si è capito che l'eccessiva antropizzazione del pianeta può peggiorare anche le condizioni di vita dell'uomo o addirittura metterle a repentaglio: penso per esempio al problema nucleare dovuto al terremoto in Giappone o a tragedie come quella di Chernobyl. In questi casi, come in molti altri, a differenza di Hiroshima e Nagasaki, non è stato l'uso bellico della tecnologia nucleare a provocare morti, ma quello pacifico,
Inoltre, l'uso massiccio di tecnologie sempre più avanzate nella vita di tutti i giorni ha reso gli uomini più deboli e impreparati ad una vita più naturale, oltre a introdurre delle artificiosità prima impensabili: ad esempio, il cibo è oggi trattato con molti additivi chimici e conservanti, confezionato con grande spreco di materiali quali la plastica e trasportato via aereo in giro per il mondo a discapito della sua qualità.


E' davvero questo il progresso? Io credo di no e penso che alcuni eccessi vadano combattuti. Tuttavia, tornare interamente indietro nel tempo non è possibile, né auspicabile. Io credo che la tecnologia possa rimediare alcuni dei problemi che essa stessa ha creato permettendoci di produrre energia pulita attraverso fonti rinnovabili, conoscere i meccanismi biologici per salvare gli ecosistemi in pericolo, creare materiali degradabili ed ecocompatibili e sostituire mezzi di produzione e trasporto obsoleti e dannosi. Per farlo ci vuole un cambiamento nella scienza e nella cultura, una tecnologia a dimensione umana e compatibile con l'ambiente. Solo così, per usare un'immagine forte, il futuro potrà essere degli uomini e non dei robot, protagonisti dell'immaginario della nostra epoca. Insomma, ci vuole un'altra rivoluzione scientifica, quattrocento anni dopo Galileo.