2b2. La teoria del moto di Aristotele
Al tempo di Galileo, Aristotele di Stagira godeva di indiscussa autorità. Le sue speculazioni dominavano il dibattito culturale dell'epoca, non ultima la fisica, che illustra il divenire, e contiene inoltre gli studi del filosofo sul moto.
La fisica dello stagirita è ben differente dalla fisica che si svilupperà da Galileo in poi non solo, come è ovvio, per la diversità delle leggi e delle soluzioni che via via il filosofo greco propone per la spiegazione dei fenomeni fisici, ma soprattutto per lo sfondo culturale e per le premesse da cui le due culture, quella greca e quella rinascimentale, si sviluppano. Infatti la fisica di Aristotele presenta un carattere prettamente cosmologico e metafisico, e inoltre è importante ricordare come la tradizione filosofica considerasse apparente e problematica l'esperienza sensibile, a cui fa costante riferimento la fisica. Per questo la speculazione dello stagirita è un'ontologia del divenire, cioè si occupa principalmente di capire e risolvere i problemi legati alle mutazioni dell'essere.
Per questo in Aristotele il moto ha un'accezione più ampia rispetto a quella che poi andrà affermandosi con Galileo: esso infatti indica una qualsiasi trasformazione, qualitativa o quantitativa che sia, della natura. Il movimento non è altro che un sinonimo di mutamento, di divenire. Quello che per noi è movimento, viene qui definito “moto locale”, cioè il movimento proprio di un corpo che muta unicamente di posizione, e non le sue caratteristiche intrinseche. Non è scontato parlare di moto locale, per Aristotele, in quanto egli si deve confrontare con una lunga tradizione filosofica che aveva fatto emergere vari paradossi riguardo il movimento, come ad esempio Zenone di Elea o Parmenide, che ritenevano il divenire pura apparenza. Per ovviare a questi problemi logici, Aristotele ritiene che essa possa essere spiegata, come già Empedocle o i pitagorici sostenevano, attraverso il conflitto dei contrari, che li porta necessariamente ad annullarsi. Tuttavia formula questa idea su nuove basi, teorizzando il concetto di “sostrato”, che indica ciò che persiste in una trasformazione, fungendo quindi da base su cui agiscono i contrari. Questi vengono identificati da Aristotele con i termini forma e privazione. Il primo consiste nella determinazione che la materia prende, ad esempio un seme è un oggetto determinato, con delle sue qualità intrinseche che lo caratterizzano. Per il filosofo la realtà è descrivibile secondo il costante passaggio del sostrato da privazione a forma e viceversa; nel nostro caso, un seme può divenire una pianta: è mancante della forma della pianta, e di conseguenza è spinto ad ottenerla. Si dice dunque che passa dalla potenza all'atto. La soluzione sta quindi nel pensare al non essere come ad una mancanza, e non in senso assoluto, come ritenevano gli eleatici. Passando poi a descrivere il movimento, Aristotele classifica i moti in quattro categorie:
• Mutamenti secondo sostanza, cioè di generazione e corruzione, come il nascere e il morire.
• Mutamenti secondo la quantità, cioè di accrescimento e di diminuzione
• Mutamenti secondo la qualità, cioè di alterazione, come ad esempio il trascolorare.
• Mutamenti locali, che, come accennato prima, riguardano il movimento vero e proprio, e vengono distinti in moti secondo natura, e contro natura.
Questa teoria è strettamente legata alla visione cosmologica di Aristotele, che concepiva il mondo come formato da sfere concentriche, in cui l'elemento della terra stava al centro, il fuoco costituiva la sfera più esterna, mentre l'acqua e l'aria risiedevano in due sfere intermedie. I quattro elementi erano parte della tradizione cosmologico-filosofica, e Aristotele trova quindi naturale mantenerli nella sua filosofia. Essi sono importanti all'interno della teoria del moto in quanto un oggetto in cui prevale uno di questi elementi tenderà a muoversi in direzione della sfera corrispondente ad esso: è così che i massi cadono a terra e il fuoco si eleva verso l'alto. Il moto di tali corpi è rettilineo, ma Aristotele ritiene questo moto imperfetto, se paragonato alla bellezza e alla perfezione del moto circolare, proprio del cielo, costituito dall'etere, che è la sostanza perfetta. Il moto violento, invece, è il moto non spontaneo, e in particolare il moto non verticale, tipico dei proiettili. Interessante notare come lo stagirita non ritenga questo moto parabolico, bensì sostiene che sia composto da tre parti: una rettilinea obliqua verso l'alto, una rettilinea verticale verso il basso, e una terza circolare di raccordo tra le due. Tale divisione durerà sino ai Quesiti et Inventioni diverse di Niccolò Tartaglia.
Un altro importante nodo che Aristotele tenta di sciogliere è il problema dello spazio, che però si presenta come un terreno colmo di aporie, non ultima la questione del vuoto, che gli procurò varie polemiche con gli atomisti, i quali sostenevano che, se lo spazio fosse completamente ostruito di materia, in esso sarebbe impossibile il movimento.
In realtà Aristotele è costretto ad ammettere l'inesistenza del vuoto, in quanto, una volta lanciato un corpo, esso mantiene il moto attraverso il mezzo in cui avviene il movimento, ad esempio l'aria. Secondo Aristotele, quindi, un proiettile è continuamente spinto dall'aria che lo circonda, che va ad occupare il vuoto che lascia l'oggetto nel suo moto. La velocità del corpo è inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo, e ne segue che, nel vuoto la velocità sarebbe infinita, e di conseguenza il corpo avrebbe il dono dell'ubiquità. E' questo l'assurdo che porta Aristotele a concludere che il vuoto non esiste.
Per Aristotele, infine, il mondo è inscritto in un ordine finalistico: il moto non è casuale, ma ha al contrario un senso che sta nella tensione amorosa verso la divinità, concepita come un “primo motore immobile”, che è causa finale del movimento del mondo.
Bibliografia:
1. F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, A. Bianchi, M. De Pasquale, Il testo filosofico, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, di cui si riporta la classificazione dei moti e i concetti di sostrato, privazione e forma;
2. Prefazione a: L. Ruggiu, Fisica di Aristotele, Milano, Rusconi, 1995, di cui si riporta la diatriba sullo spazio;
3. M. Gliozzi, Storia della fisica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.