Alessandro Generali
L'incidenza della lingua nella trattazione scientifica 2
2d. L'incidenza della lingua nella trattazione scientifica 2
Fu soprattutto con Galileo e con la sua scuola che l'italiano si impose come lingua anche per i testi scientifici. La scienziato pisano lo utilizzò con la precisa motivazione di diffondere la nuova scienza fra un pubblico più vasto di quello dei dotti, che erano gli unici a conoscere il latino. La comunicazione della scienza smetteva di essere esercizio retorico e di concentrarsi sulla conoscenza dei classici e si apriva allo studio e alla comprensione del "gran libro della natura" attraverso un approccio empirico e sperimentale. Il registro linguistico della nuova scienza ne rispecchiava il rifiuto del principio d'autorità e le finalità di perseguimento del bene pubblico attraverso l'acquisizione di saperi anche tecnici, in grado di intervenire sulla natura a beneficio collettivo e ubbidendo alle sue leggi. Il modello era quello del confronto critico fra filosofi della natura "disappassionati", sinceri, non prevenuti, disposti a ricercare la verità senza pregiudizi, dove la semplicità della lingua avrebbe dovuto favorire la comunicazione "ingenua" degli scienziati e il rigore delle dimostrazioni matematiche.
Al tempo di Galileo la lingua italiana iniziava il suo processo di definizione lessicografica con la prima edizione del Vocabolario della crusca, pubblicata nel 1612. Tale processo sarebbe durato a lungo e sarebbe stato accompagnato da una lenta ma significativa evoluzione anche della lingua scientifica. Lo stesso Galileo e alcuni autori della sua scuola sono a tutt'oggi considerati riferimenti autorizzanti della lingua (cfr. il Dizionario di Salvatore Battaglia). La prosa italiana di Galileo risente infatti indubitabilmente dello stile barocco del tempo, ma presenta una vivacità notevole, che esprime la vis polemica delle sue opere, la novità dei temi, dei metodi e dei contenuti che propone, la consapevole esigenza retorica di una comunicazione efficace, in grado di convincere il lettore della correttezza delle tesi illustrate e della sincerità delle osservazioni riportate. La stessa forma del dialogo a tre voci, scelta per la sua opera maggiore, fornisce alla narrazione teatralità e tensione dialettica, evitando l'appesantimento di una comunicazione formale e aiutando così anche i lettori non specialisti a seguire le argomentazioni proposte.
Un esempio significativo della vivacità e dell'efficacia della prosa volgare galileiana, pur in un contesto stilistico barocco, che appare però liberato dai suoi principali difetti e dai suoi maggiori limiti grazie all'essenzialità dell'esigenza di comunicazione scientifica e dalla passione della motivazione polemica, può essere il passo del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui Salviati risponde sdegnato all'affermazione di Simplicio che non vi fosse altro riferimento per il sapere naturalistico che l'autorità di Aristotele:
Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d'intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che 'l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all'avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l'onorato titolo di filosofo.
È interessante seguire l'evoluzione dello stile del volgare scientifico nell'arco di quasi un secolo attraverso un paio di esempi tratti da autori della tradizione sperimentalista galileiana, scelti fra quelli che riprendono il tema della superiorità della conoscenza empirica correttamente interpretata dalla ragione, cioè, per usare la nota metafora galileiana, della conoscenza basata sugli occhi della fronte e su quelli della mente.
Un primo significativo passo può essere quello tratto dalle Esperienze intorno alla generazione degl'insetti d Francesco Redi del 1668, ancora segnato dallo stile barocco, quantunque anche in questo caso la qualità letteraria del suo autore (noto anche per componimenti poetici, quali il Bacco in Toscana) e le esigenze della comunicazione scientifica alleggeriscano e donino vivacità alla scrittura:
È non ha dubbio alcuno che nell'intendimento delle cose naturali dati sono dal supremo Architetto i sensi alla ragione come tante finestre o porte per le quali o ella si affacci a mirarle, o elleno entrino a farsi conoscere. Anzi, per meglio dire, sono i sensi tante vedette o spiatori che mirano a scoprire la natura delle cose e 'l tutto riportano dentro alla ragione la quale, da essi ragguagliata, forma di ciascuna cosa il giudizio, altrettanto chiaro e certo quanto essi sono più sani e gagliardi, e liberi da ogni ostacolo ed impedimento.
Un secondo esempio può essere un passo di una lettera di Antonio Vallisneri a Giovanni Giacinto Vogli del 24 giugno 1721, dove lo stile della lingua appare naturalmente molto lontano dalla linearità odierna, ma decisamente più moderno rispetto agli esempi precedenti, sia in quanto lo stile di comunicazione epistolare appare sempre più familiare e diretto, sia perché nel frattempo si era imposto e diffuso il movimento dell'Arcadia, che aveva reagito alla complessità barocca rivendicando un ritorno alla semplicità classica. Tale movimento, divenuto rapidamente egemone nell'Italia del primo Settecento, aveva influenzato anche la prosa scientifica volgare, contribuendo al superamento dei modelli espressivi barocchi a vantaggio di uno stile di scrittura più efficace, lineare e moderno:
Voglio, che sieno i sensi, legittimamente disposti, e adoprati, che accendino la face, e se non veggo, e tocco con mani, non iscrivo, né determino giammai [...] Noi altri mortali tanto in questa bassa terra sappiamo, quanto veggiamo, e tocchiamo, perché i nostri pensieri hanno troppo corte le ali, fingono, creano, s'inviluppano, nelle tenebre si perdono, e quando crediamo, di aver veduto con l'immaginazione una cosa, guardata poi con l'occhio corporeo, la troviamo sovente tutta diversa da quello, che ci lusingammo, che fosse.
Fu soprattutto con Galileo e con la sua scuola che l'italiano si impose come lingua anche per i testi scientifici. La scienziato pisano lo utilizzò con la precisa motivazione di diffondere la nuova scienza fra un pubblico più vasto di quello dei dotti, che erano gli unici a conoscere il latino. La comunicazione della scienza smetteva di essere esercizio retorico e di concentrarsi sulla conoscenza dei classici e si apriva allo studio e alla comprensione del "gran libro della natura" attraverso un approccio empirico e sperimentale. Il registro linguistico della nuova scienza ne rispecchiava il rifiuto del principio d'autorità e le finalità di perseguimento del bene pubblico attraverso l'acquisizione di saperi anche tecnici, in grado di intervenire sulla natura a beneficio collettivo e ubbidendo alle sue leggi. Il modello era quello del confronto critico fra filosofi della natura "disappassionati", sinceri, non prevenuti, disposti a ricercare la verità senza pregiudizi, dove la semplicità della lingua avrebbe dovuto favorire la comunicazione "ingenua" degli scienziati e il rigore delle dimostrazioni matematiche.
Al tempo di Galileo la lingua italiana iniziava il suo processo di definizione lessicografica con la prima edizione del Vocabolario della crusca, pubblicata nel 1612. Tale processo sarebbe durato a lungo e sarebbe stato accompagnato da una lenta ma significativa evoluzione anche della lingua scientifica. Lo stesso Galileo e alcuni autori della sua scuola sono a tutt'oggi considerati riferimenti autorizzanti della lingua (cfr. il Dizionario di Salvatore Battaglia). La prosa italiana di Galileo risente infatti indubitabilmente dello stile barocco del tempo, ma presenta una vivacità notevole, che esprime la vis polemica delle sue opere, la novità dei temi, dei metodi e dei contenuti che propone, la consapevole esigenza retorica di una comunicazione efficace, in grado di convincere il lettore della correttezza delle tesi illustrate e della sincerità delle osservazioni riportate. La stessa forma del dialogo a tre voci, scelta per la sua opera maggiore, fornisce alla narrazione teatralità e tensione dialettica, evitando l'appesantimento di una comunicazione formale e aiutando così anche i lettori non specialisti a seguire le argomentazioni proposte.
Un esempio significativo della vivacità e dell'efficacia della prosa volgare galileiana, pur in un contesto stilistico barocco, che appare però liberato dai suoi principali difetti e dai suoi maggiori limiti grazie all'essenzialità dell'esigenza di comunicazione scientifica e dalla passione della motivazione polemica, può essere il passo del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui Salviati risponde sdegnato all'affermazione di Simplicio che non vi fosse altro riferimento per il sapere naturalistico che l'autorità di Aristotele:
Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d'intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa è più vergognosa che 'l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili, uscir di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all'avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l'onorato titolo di filosofo.
È interessante seguire l'evoluzione dello stile del volgare scientifico nell'arco di quasi un secolo attraverso un paio di esempi tratti da autori della tradizione sperimentalista galileiana, scelti fra quelli che riprendono il tema della superiorità della conoscenza empirica correttamente interpretata dalla ragione, cioè, per usare la nota metafora galileiana, della conoscenza basata sugli occhi della fronte e su quelli della mente.
Un primo significativo passo può essere quello tratto dalle Esperienze intorno alla generazione degl'insetti d Francesco Redi del 1668, ancora segnato dallo stile barocco, quantunque anche in questo caso la qualità letteraria del suo autore (noto anche per componimenti poetici, quali il Bacco in Toscana) e le esigenze della comunicazione scientifica alleggeriscano e donino vivacità alla scrittura:
È non ha dubbio alcuno che nell'intendimento delle cose naturali dati sono dal supremo Architetto i sensi alla ragione come tante finestre o porte per le quali o ella si affacci a mirarle, o elleno entrino a farsi conoscere. Anzi, per meglio dire, sono i sensi tante vedette o spiatori che mirano a scoprire la natura delle cose e 'l tutto riportano dentro alla ragione la quale, da essi ragguagliata, forma di ciascuna cosa il giudizio, altrettanto chiaro e certo quanto essi sono più sani e gagliardi, e liberi da ogni ostacolo ed impedimento.
Un secondo esempio può essere un passo di una lettera di Antonio Vallisneri a Giovanni Giacinto Vogli del 24 giugno 1721, dove lo stile della lingua appare naturalmente molto lontano dalla linearità odierna, ma decisamente più moderno rispetto agli esempi precedenti, sia in quanto lo stile di comunicazione epistolare appare sempre più familiare e diretto, sia perché nel frattempo si era imposto e diffuso il movimento dell'Arcadia, che aveva reagito alla complessità barocca rivendicando un ritorno alla semplicità classica. Tale movimento, divenuto rapidamente egemone nell'Italia del primo Settecento, aveva influenzato anche la prosa scientifica volgare, contribuendo al superamento dei modelli espressivi barocchi a vantaggio di uno stile di scrittura più efficace, lineare e moderno:
Voglio, che sieno i sensi, legittimamente disposti, e adoprati, che accendino la face, e se non veggo, e tocco con mani, non iscrivo, né determino giammai [...] Noi altri mortali tanto in questa bassa terra sappiamo, quanto veggiamo, e tocchiamo, perché i nostri pensieri hanno troppo corte le ali, fingono, creano, s'inviluppano, nelle tenebre si perdono, e quando crediamo, di aver veduto con l'immaginazione una cosa, guardata poi con l'occhio corporeo, la troviamo sovente tutta diversa da quello, che ci lusingammo, che fosse.