Martina Sposato
La lotta di Galilei e l'esegesi biblica

2a1. La lotta di Galilei e l’esegesi biblica
Galileo Galilei fu certamente uno dei più grandi scienziati moderni. Egli trascrisse le principali delle sue teorie nelle “Lettere Teologiche”, scritte tra il 1613 e il 1615, a don Benedetto Castelli, discepolo e amico di Galilei, a monsignor Piero Dini, altro amico e relatore delle cause del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e, la più lunga e articolata, a Cristina di Lorena, moglie del Granduca di Toscana Ferdinando I. Dette anche «copernicane» perché sostengono la teoria eliocentrica del grande astronomo e teologo polacco Niccolò Copernico (1473-1543), le lettere costituiranno la base documentale del capo d'imputazione che porterà Galilei davanti al Sant'Uffizio circa vent'anni dopo, nel 1633. Furono stese dopo che Niccolò Lorini, nel 1612, rivolse minacciose accuse di eresia ai copernicani dall'alto del pulpito di Santa Maria Novella. In quel momento Galilei, cinquantenne, godeva già di chiarissima fama, grazie alle sue straordinarie scoperte astronomiche: i satelliti di Giove, il paesaggio lunare, l'infinità di stelle della via Lattea, tutte dovute al suo speciale cannocchiale.
Galileo decide di scendere in campo non solo sul terreno della scienza, ma anche su quello ben più accidentato e pericoloso dell'esegesi biblica, facendosi forte delle sue scoperte. Ben presto però incontrò molte opposizioni, accentuate ancor di più dalla passione e l'ingegno con cui, nelle tre lettere, viene sostenuta la teoria copernicana secondo la quale è la terra a girare intorno al sole e non viceversa. Lo scienziato rispose alle critiche mosse dalla Chiesa appellandosi a sant'Agostino secondo cui «nissuna proposizione può esser contro la Fede se prima non è dimostrata falsa»; a san Girolamo, per il quale nelle Scritture ci sono cose che «vengono dette secondo il modo di pensare di quel tempo a cui i fatti si riferiscono e non secondo la verità» ; a san Tommaso, che sottolinea come uso proprio della Scrittura sia quello di parlare «secondo il modo di giudicare del volgo». Ma la Chiesa non sentì ragioni: e anche se Galilei sottolineò come la «stabilità della Terra» fosse un argomento de fide, e la scienza segue una strada diversa da quella della teologia, che l'Universo è scritto in lingua matematica senza cui «i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche... senza i quali è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto», la Chiesa del tempo, controriformistica e tridentina, non fu disposta a mettere in discussione i suoi dogmi. Galilei fu determinato e da Padova a Venezia, da Bologna a Firenze e a Roma, organizzò serate astronomiche in cima a terrazze e tetti e perfino sul campanile di San Marco, alla presenza di dogi, senatori, accademici, alti prelati e, in prima fila, gli amici Gesuiti. Il grande scienziato aveva appena scoperto il «nuovo cielo» e ne vuole comunicare la bellezza, lo splendore, ma anche le leggi.
La stessa determinazione la ritroviamo nelle sue lettere, in particolare in quella a Benedetto Castelli, in cui lo scienziato è molto chiaro nel sostenere che, se la Scrittura non può errare, possono però errare i suoi «interpreti ed espositori».
Nella lettera a Cristina di Lorena sotto attacco sono i ministri e professori di teologia che si arrogano l'autorità di «decretare nelle professioni non esercitate né studiate da loro». Decisivo, in questo senso, fu l'incontro con il cardinale Bellarmino, che consigliò a Galilei di parlare pure, ma di farlo ex suppositione, cioè per ipotesi «come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico»: ''Noi Roberto Cardinale Bellarmino, avendo inteso che il signor Galileo Galilei sia calunniato o imputato di avere abiurato in nostra mano, e anco di essere stato per ciò penitenziato di penitenzie salutari, e essendo ricercati della verità, diciamo che il suddetto signor Galileo non ha abiurato in nostra mano né di altri qua in Roma, né meno in altro luogo che noi sappiamo, alcuna sua opinione o dottrina, né manco ha ricevuto penitenzie salutari né d'altra parte, ma solo gli è stata denunciata la dichiarazione fatta da Nostro Signore e pubblicata dalla Sacra Congregazione dell'Indice, nella quale si contiene che la dottrina attribuita al Copernico, che la terra si muove intorno al sole, e che il sole stia fermo nel centro del mondo senza muoversi da oriente a occidente, sia contraria alle Sacre Scritture, e per ciò non si possa né difendere né tenere. E in fede di ciò abbiamo scritta e sottoscritta la presente di nostra propria mano''.
Così scriveva Bellarmino in una lettera a Galileo nel Maggio del 1616. E così lo scienziato, rassicurato da questa dichiarazione, lasciò Roma e si trasferì a Firenze il 4 giugno di quello stesso anno, vedendosi sconfitta la sua personale battaglia contro la Chiesa.