Giuditta Fullone
Sacre scritture e autonomia della scienza

2a1. Sacre scritture e autonomia della scienza
Nella Lettera a Benedetto Castelli, frate benedettino suo amico e collaboratore, Galileo Galilei esprime chiaramente il suo punto di vista sul rapporto tra Sacre Scritture e scienza, col fine di far circolare le sue idee in ambito ecclesiastico e di trovare l'approvazione della Chiesa per una compatibilità tra le tesi di Copernico e la religione Cattolica.
Galilei apre la lettera sostenendo l'assoluta verità e inviolabilità dei passi del libro sacro, ma, analizzando il problema della conformità del copernicanesimo con la 'lettera' della Bibbia, afferma che talvolta i testi sacri si debbano interpretare e non leggere alla lettera. Più avanti nel testo Galilei asserisce che nelle discussioni di argomento scientifico e naturale, la Bibbia non dev'essere presa come fonte di verità, perché, mentre le Sacre Scritture devono adeguarsi alla capacità di comprensione di tutti i fedeli, quindi a volte non possono affermare la verità come è, la natura che non si cura di essere compresa dagli uomini, segue fedelmente le leggi divine, quindi i fenomeni naturali e le conoscenze sensibili dell'uomo non devono in nessun modo essere messi in dubbio a causa di un passo della Bibbia che li contrasta (e a questo proposito scrive “non ogni detto della scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura”.) Galilei afferma, a sostegno di questa tesi, che se le Scritture avessero sostenuto la “verità nuda e scoperta” riguardo alla cosmologia, avrebbero danneggiato la loro funzione principale, cioè quella salvifica e morale, poiché il popolo, non riuscendo a comprendere tali verità, avrebbe faticato a credere anche alle questioni riguardanti la fede.
Nel contempo, afferma che Scritture e natura, derivando entrambe da Dio, sono tutte e due valide, e siccome due verità non possono contrariarsi, Galilei sostiene che è compito degli interpreti trovare il vero senso delle Scritture che concorda con la natura, verificata prima dall'esperienza sensibile e dalle dimostrazioni scientifiche, e che i passi della Bibbia, qualora non siano conformi a ciò che i sensi e la ragione ci dicono, non vanno creduti letteralmente.
Galilei conclude la lettera citando i decreti del concilio di Trento secondo i quali le Sacre Scritture si devono occupare soltanto di questioni riguardanti la fede e la morale, e non riguardanti altre discipline (come appunto l'astronomia, “di cui ve n'è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti”.)
Alla posizione di Galilei si oppone quella del cardinale e inquisitore gesuita Roberto Bellarmino, che nella Lettera a padre Foscarini (Paolo Antonio Foscarini, scienziato e religioso italiano, che aveva difeso in un opuscolo il copernicanesimo) esorta Foscarini e lo stesso Galileo a considerare la teoria copernicana come un semplice modello del cosmo, utile per semplificare i calcoli matematici relativi all'astronomia, ma assolutamente non accettabile come la vera struttura dell'universo. Bellarmino afferma che il sostenere che il sole stia fermo al centro dell'universo e che la terra ruoti attorno ad esso vada “contro il comune consenso de' Santi Padri”, i quali concordano tutti sul fatto che sia la terra a stare ferma e il sole a ruotarle attorno.
All'esortazione di Galilei a seguire i decreti del concilio di Trento che delimitavano la funzione delle Scritture alle questioni di fede, Bellarmino risponde che non si può non considerare la cosmologia materia di fede, poiché se non lo è “ex parte obiecti” (cioè considerando l'oggetto o l'argomento), lo è “ex parte dicentis” (cioè considerando colui che parla, ovvero lo Spirito Santo).
Infine, Bellarmino sostiene che qualora ci fosse una vera dimostrazione che confermi la teoria copernicana, allora si dovrebbero interpretare le Sacre Scritture in modo da renderle conformi a ciò che si è dimostrato, ma che egli dubita fortemente che questa dimostrazione sia possibile, “ed in caso di dubbio non si deve lasciare la Scrittura Santa, esposta da' Santi Padri”. È fondamentale, per meglio comprendere questa posizione, ricordare che il concetto di 'dimostrazione' di Bellarmino coincide con quello aristotelico, secondo il quale 'dimostrare' significa valutare alla luce di principi veri e propri (apodexeis). Se una teoria salva i fenomeni, ma non è dimostrata, non la si può considerare vera.
Il dover considerare la teoria copernicana come un semplice 'modellino' del cosmo, però, era già stato teorizzato da Andrea Osiander, teologo e scienziato tedesco, che scrive una prefazione al De revolutionibus orbium coelestium di Copernico. In essa, Osiander prevede le possibili reazioni di alcuni intellettuali e scienziati, che, di fronte alla novità delle tesi copernicane, avrebbero potuto indignarsi e scandalizzarsi; lo scienziato esorta dunque questi intellettuali a non biasimare l'autore, dato che tutti gli astronomi inventano e immaginano delle ipotesi e dei modelli per poter calcolare il più facilmente e precisamente possibile i movimenti celesti e le loro cause. (“Poiché infatti non è necessario che queste ipotesi siano vere e neppure verosimili, ma basta questo soltanto: che esse offrano dei calcoli conformi all'osservazione.")
Osiander afferma quindi che, poiché l'astronomia ignora le vere cause dei movimenti irregolari dei corpi celesti, “ne escogita qualcuna con l'immaginazione - e ne escogita moltissime”, ma non affinchè siano credute come cause reali della costituzione del cosmo, ma per poter meglio render ragione dei fenomeni celesti. Dato che esistono vari modelli matematici del cosmo, un astronomo sceglierà quello che lo faciliterà maggiormente nel calcolo, mentre il filosofo ricercherà anche una cera verosimiglianza, “ma nessuno dei due comprenderà o insegnerà qualcosa di certo a meno che non gli sia rivelato per rivelazione divina.”
Contro la posizione del teologo tedesco, e dei professori calvinisti dell'università di Oxford che la condividevano, si scaglia il filosofo Giordano Bruno, il quale, nella Cena delle ceneri, chiama 'asino ignorante e presuntuoso' il dottor Torquato (un aristotelico di Oxford) che appoggia la tesi di Osiander nonostante il fatto che di tutto il De revolutionibus orbium coelestium avesse letto soltanto i nomi dell'autore e dello stampatore, il titolo del volume, il luogo e l'anno in cui era stato stampato e la prefazione di Osiander (il quale voleva, secondo Bruno, quasi favorire Copernico scusandolo per la tesi che sosteneva, e avvertire i lettori del libro riguardo ciò che stavano per leggere.) Copernico non solo ha affermato che la terra si muove, conclude Bruno; ma lo sostiene e lo conferma scrivendo al Papa e dicendo che le teorie dei filosofi sono assai diverse da quelle del popolo, alle quali non va prestato ascolto.


Bibliografia:
1. La rivoluzione scientifica: da Copernico a Newton, a cura di Paolo Rossi, Loescher, Torino, 1973 (per la Prefazione di Osiander, pagg. 186-188)
2. I filosofi e le idee, Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Bianchi, De Pasquale, O'Brien, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2005: per il testo di Giordano Bruno dalla Cena delle ceneri, pagg.123-125; per la Lettera a Benedetto Castelli, pagg. 202-206

Sitografia (per le immagini):
http://divulgazione.uai.it/images/AA_Benedetto_Castelli.jpg
http://www.istitutoaveta.it/san_roberto_bellarmino_17_medium.jpg
http://wpcontent.answcdn.com/wikipedia/commons/thumb/f/f9/Andreas-Osiander.jpg/225px-Andreas-Osiander.jpg
http://www.lsdmagazine.com/wp-content/uploads/2009/11/giordano_bruno.jpg
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