Amina Antoniazzi
La lingua greca della comunicazione filosofica e scientifica

2d4. La lingua greca della comunicazione filosofica e scientifica: Platone e Aristotele

Dal dialogo tardo delle Leggi è tratto il brano 821a-822a che propone l'alternativa platonica all'astronomia naturalistica ed empiristica insegnata all'epoca, un'astronomia a detta di Platone incoerente con i principi della ragione filosofica dal momento che presuppone l'esistenza di “pianeti” (parola chiave del testo): il termine pianeta, in latino planeta, deriva dal greco planétes “errante”, dal verbo planao “vado errando” (parola ripetuta nel paragrafo 821b e c).
Questo testo può essere spunto per un'analisi più approfondita del lessico e dello stile di Platone, del quale è nota l'apparente avversione nei confronti della scrittura in genere, apparente perché è altrettanto nota la grandezza delle sue opere letterarie e la straordinaria forza espressiva della sua lingua.
Prediletta è la forma dialogica (nel nostro caso tra i protagonisti Clinia e un vecchio ateniese) proprio perché funge da mediazione tra la parola orale e il discorso scritto: in conformità all'insegnamento socratico, il dialogo platonico infatti non offre un sapere in sé concluso e definitivo senza il coinvolgimento del lettore, il quale diventa anzi protagonista attivo, anch'egli alla ricerca della verità dentro di sé come i personaggi del dialogo.
Il legame di quest'ultimo con l'oralità è così stretto che se ne è anche parlato in termini di “oralità scritta”: nei dialoghi filosofici tuttavia non avviene né una fissazione dell'oralità né una sua trascrizione, ma una processo creativo su un registro simile a quello orale. Per questa ragione il termine “oralità scritta” non ha lo stesso significato che può avere nell'epos, in cui indica una codificazione, una selezione ordinata di una materia già creata; ed è diversa anche dalla concezione del mondo teatrale, dove la pagina scritta è trascrizione di un processo che è in sé orale (infatti è necessario molto altro perché un testo teatrale possa essere rappresentato pienamente: la scenografia, l'interpretazione, la musica, la danza ecc).
Questa forma di scrittura, al di là del suo legame con il discorso parlato, si rivela utile per la sua capacità di rappresentare le diverse opinioni possibili, ma non termina qui la sua funzione: essa è soprattutto quella di portare alla costruzione attiva della scienza (epistème) per cui è indispensabile la presenza dell'altro, in quanto la conoscenza nasce dalla convergenza di entrambi i partecipanti alla discussione in una verità riconosciuta (omologhìa).
Questa la conclusione positiva del dialogo, che viene raggiunta anche nel nostro caso:
"Per Zeus, ospite, questo che stai dicendo è vero!";
sono le parole di Clinia, che continua riferendo la propria esperienza personale rivalutata alla luce dell'affermazione del saggio Ateniese.
Per essere più precisi, la forma platonica di esposizione permette al lettore di ripercorrere le tappe del percorso del filosofo Ateniese sotto la guida dei suoi testi: anziché descrivere il comportamento del filosofo (che ricerca la verità attraverso la dialettica) esso viene “messo in scena”, come in una rappresentazione teatrale, nella convinzione che questo sia uno dei modi di accedere alla dialettica. Ecco quindi un altro motivo (questa volta didattico) della scelta stilistica di Platone: la dialettica non è un esercizio retorico e sofistico, non mira alla prevaricazione all'interno della discussione, ma è invece un esercizio di trasformazione di sé in rapporto agli altri.
E' naturale quindi che sia scomparsa anche la folla che era elemento costitutivo della retorica sofistica, dal momento che una moltitudine di persone può essere persuasa emotivamente, sedotta da demagoghi (ci troviamo qui nell'Atene post-periclea) ma non può giungere alla vera e razionale comprensione dell'altro.
Anche se tutti questi fattori elencati servono a spiegare la scelta della forma dialogica, rimane comunque irrisolta la contraddizione di cui si era accennato in principio e cioè la svalutazione della scrittura da parte di Platone (nel Fedro), che viene invece largamente usata nei dialoghi. A questo proposito, Aristotele accenna (nella Fisica) all'esistenza di altre "dottrine non scritte", riservate dunque all'insegnamento orale all'interno della scuola, alla luce della quali le opere scritte assumono il compito di esortare allo studio della filosofia e di richiamare l'attenzione di un pubblico più ampio verso la dottrina e l'accademia platonica.
Questo processo dell'intelletto, questa ricerca non può non influire sulla lingua di Platone: un attico puro ed elegante ma che non manca di colloquialismi e termini della quotidianità che conferiscono vivacità e varietà alla prosa; il ritmo spesso incalza verso la soluzione del dialogo in una climax, data nel nostro testo dalle ripetute interrogazioni di Clinia (“Qual è?” e poi; “E la menzogna qual è?”). Allo stesso modo la dialettica è resa viva e vicina al discorso parlato dalle esclamazioni (“per Zeus!") o anche dagli appellativi amichevoli (“miei cari” ricorre due volte) o dall'assiduo uso di elementi coordinanti intensivi e conclusivi (“certamente”, “infatti”, “dunque”). Questi espedienti non rendono però facile la sintassi platonica, complicata da un lessico tecnico (nel nostro estratto più prettamente astronomico che filosofico) e dall'articolazione dei concetti.

Come il brano delle Leggi per la forma dialogica, così il testo dal De Coelo rappresenta un tipico esempio del periodare argomentativo di Aristotele: egli per dimostrare la propria tesi (in particolare il moto circolare dell'etere celeste per sua stessa natura), procede attraverso il continuo uso di inferenze, ragionamenti, attraverso cui, sulla base di una o più premesse, una determinata proposizione viene affermata come conclusione. La tecnica utilizzata è dunque la logica deduttiva, nella forma specifica del sillogismo, inferenza per cui le proposizioni di partenza sono due, una premessa maggiore e una minore. Ne può essere un esempio questa inferenza del testo (269a): “Se dunque esiste un moto semplice, e se il moto circolare è semplice, e il moto dei corpi semplici è semplice e il moto semplice è proprio dei corpi semplici, ne viene che deve necessariamente esistere un corpo semplice che in virtù della sua natura abbia in proprio di muoversi di moto circolare.”

PREMESSA MAGGIORE: il moto di tutti i corpi semplici è semplice;
PREMESSA MINORE: il moto circolare è un moto semplice;
CONCLUSIONE: esiste un corpo semplice che per sua natura si muove circolarmente.

Questo è un sillogismo valido, poiché i passaggi deduttivi vengono eseguiti con logica impeccabile, ma anche vero, secondo Aristotele, poiché si basa su premesse vere.
Per comprendere le origini del metodo espositivo aristotelico più chiaramente si può iniziare dall'aspetto epistemologico del suo pensiero: il concetto di “scienza” in Aristotele venne sintetizzato nella formula scolastica rimasta nei secoli di “scire per causas” (conoscere attraverso la ricerca delle cause, senza limitarsi ad un'analisi superficiale e puramente descrittiva). Può dunque apparire evidente perché la sua forma tipica sia il sillogismo: le premesse di quest'ultimo possono essere facilmente definite “cause” della loro conseguenza, della loro conclusione. Inoltre la forma del sillogismo, con la sua rigorosa concatenazione, è adatta a render conto del carattere necessario del nesso causale (la conclusione segue necessariamente dalle due premesse, così come nel processo conoscitivo bisogna capire perché certe proprietà appartengono ad un corpo con assoluta necessità).
Già si può immaginare quanto lo stile della prosa aristotelica differisca da quello platonico, tanto più che gli scritti pervenutici sono quasi solamente quelli esoterici, rivolti cioè all'ambito scolastico e scritti per l'ascolto. Il grado di elaborazione stilistica è dunque minimo, spesso ci troviamo di fronte schemi e appunti scarni, talvolta anche ambigui per noi che non possiamo fruire della spiegazione orale. La lingua di Aristotele è un misto di attico letterario e attico parlato ad Atene nel IV secolo a.C. con l'introduzione di vocaboli tecnici e neologismi; le frasi, solitamente costruite in paratassi, sono brevi e spezzettate (basta confrontare le prime 4 righe del testo dato), mentre il lessico, se non povero, risulta quantomeno ripetitivo (un termine chiave del brano come kinesis appare, in diverse forme, 11 volte e non è l'unico esempio possibile).
Tuttavia questo avviene perchè la ricerca lessicale del filosofo di Stagira è orientata verso una direzione diversa dalla raffinatezza platonica: la sua intenzione, mai realizzata prima con tali risultati, è di creare un linguaggio tecnico, stabilizzando la terminologia impiegata nelle indagini scientifiche e filosofiche. In particolare questo impegno si esplica nell'analisi approfondita del significato dei termini usati, come per l'etere, il quinto elemento di cui tratta il nostro passo, così detto da aeì, "sempre" e da thein, "correre", cioè "ciò che si muove in eterno", secondo l'etimologia aristotelica.
Un altro caso che può essere preso ad esempio è quello del già citato kinesis, parola chiave della filosofia aristotelica, che significa mutamento o passaggio di qualcosa dalla potenza all'atto; il mutamento può essere secondo sostanza (si tratta allora di generazione o corruzione), secondo qualità (alterazione), secondo quantità e infine secondo il luogo (e questo è detto movimento in senso proprio). Ecco perchè all'inizio del brano del De Caelo, Aristotele specifica kinetà katà topon (corpi che si muovono nello spazio, che mutano secondo il luogo). Ma vi è un altro termine centrale nell'argomentazione aristotelica, che già da solo causa un enorme divario con la cosmologia platonica del Timeo, che soleva spiegare il movimento degli astri attraverso la presenza di un metaforico demiurgo: la natura (physis). L'allievo si ripropone infatti di spiegare l'assetto del cielo a partire dall'ipotesi che gli astri siano corpi naturali e in quanto tali abbiano in sé il principio del movimento, l'etere è dunque dotato per natura di quel movimento circolare che Platone imputa all'azione di un'anima intelligente.

Per quanto possano quindi sembrare distanti il lessico aristotelico e quello platonico, essi hanno comunque una base comune: l'efficacia e la capacità di sintesi filosofica insita nella lingua greca.
A questo proposito, riprendendo le tesi del tedesco Bruno Snell, sembra probabile che la filosofia sia nata presso i Greci proprio perché nella loro lingua, a differenza di altri idiomi, si registra l'uso dell'articolo determinativo. Questo risulterebbe decisivo nella nascita di tale disciplina per la sua facoltà di esprimere in modo semplice concetti astratti: il processo di astrazione avviene attraverso la sostantivazione delle forme verbali e dell'aggettivo e può operare dando una determinazione a ciò che è immateriale, ponendolo come oggetto universale e infine presentandolo come oggetto definito su cui è possibile formulare opinioni. Quello che Snell ha registrato è l'inizio di una riflessione della lingua su se stessa, l'inizio di un processo logico che nasce internamente alla lingua e che troviamo ormai sviluppato in Platone ed Aristotele. Questo percorso di crescita della lingua, è ben testimoniato dalla differenza delle scelte lessicali tra i due grandi filosofi:
si è parlato, riguardo al primo, della vivacità e dell'immediatezza delle battute del diaologo e del sapiente utilizzo della lingua parlata; essa diventa però anche lingua della discussione filosofica e scientifica e così le parole più comuni vengono elevate e astratte proprio grazie all'uso della forma aggettivale al neutro o del verbo all'infinito o al participio. Tuttavia egli rimane lontano dal creare un vero e proprio linguaggio filosofico, che si costituirà invece con Aristotele.

Bibliografia e sitografia:
1. F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, A. Bianchi, M. De Pasquale, I filosofi e le idee, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2005 e www.ilgiardinodeipensieri.eu (per l'aspetto più prettamente filosofico);
2. P. Amisano, E. Guarini, Kata logon, versioni greche per il triennio, edizioni Paravia; L. E. Rossi, R. Nicolai, Corso integrato di letteratura greca, vol. II, edizioni LeMonnier; www.ariannascuola.eu (per l'aspetto linguistico e stilistico).