Priscilla Celentano
Platone e il problema dei pianeti

2b1. Platone e il problema dei pianeti

Platone criticò la tesi naturalistica che definiva “pianeti” alcuni astri dotati di movimento irregolare (planetà astra significa astri erranti). Se infatti, come afferma Platone, gli astri sono esseri divini, non possono che muoversi a velocità uniforme lungo traiettorie circolari. Il filosofo ateniese giudica le spiegazioni dei filosofi naturalisti menzognere e blasfeme dal momento che essi, al contrario della prospettiva finalistica platonica, si limitano a cercare le cause materiali dei fenomeni naturali. E' infatti il logos (cioè ragione e fine) la vera causa di ogni ente, non la materia.
La ricerca riguardo la ragione e il fine coincide con l'esercizio della dialettica filosofica, scienza suprema, che ha il compito di offrire la dimostrazione delle premesse delle diverse scienze dianoetiche sottoponendole al vaglio della ragione e valutandone la coerenza con l' idea del bene. Platone distingue nel VI libro della Repubblica quattro gradi del conoscere: due sensibili, l' immaginazione “eikasia” e la fede sensibile “pistis” e due soprasensibili, pensiero discorsivo “diànoia” e intuizione “noesis”. La diànoia usa il sensibile per conoscere oggetti intellegibili, la noesis si affissa direttamente sull'idea. La vera diversità sta nell'utilizzo delle ipotesi ”ypothéseis”. Mentre la diànoia le prende per vere e le considera indimostrabili (basti pensare ad assiomi e postulati), la noesis cerca di dimostrarle al fine di ottenere l' evidenza razionale. Il filosofo in campo astronomico, ragionando sul modo migliore (più consono al Bene) di concepire i corpi celesti, ha il compito di fornire i criteri e i fondamenti generali della ricerca degli astronomi. Platone non ammette che ci siano movimenti irregolari in cielo; i movimenti irregolari osservati devono essere concepiti come movimenti apparenti e non reali. Si propone dunque di salvare i fenomeni “sozein tà fainomena” fornendo una spiegazione del movimento degli astri che rispetti la premesse che la dialettica impone all'astronomia. Nelle Leggi infatti ammetteva che vi fosse l'astronomia di un cielo visibile a patto che fosse vincolata dalla circolarità e dall'uniformità dei moti degli astri. Per natura esseri divini e dotati di un'anima intelligente, guida e causa del loro movimento, era inaccettabile che si muovessero in modo irregolare. Platone identifica, grazie alla forma conchiusa della figura geometrica del cerchio, il moto circolare uniforme come il più perfetto e del quale gli astri devono essere dotati. Il problema principe dell'astronomia antica diviene dunque quello di fornire modelli geometrici raffinati ed elaborati conformi all'uniformità e alla circolarità, col fine di ridurre ogni irregolarità osservata in cielo.
Il primo che si applica in tal senso è Eudosso di Cnido (408-355 a.C. circa), matematico e astronomo, contemporaneo di Platone. Egli immagina sfere omocentriche che prevedono che ogni pianeta sia fissato sulla sfera più interna di una lunga serie di sfere con un centro comune: il centro della Terra. Il sommarsi dei diversi assi intorno ai quali ruota ogni pianeta determina il movimento dello stesso.
Nel De Caelo Aristotele si confronta con la cosmologia di Platone; una prima critica al platonismo sta nella subordinazione tra dialettica e scienze: infatti Aristotele sostiene che ogni scienza abbia principi propri e che essi non derivino da un sapere ad essi superiore; una seconda critica sta nel fatto che Aristotele non imputi ad un'anima intelligente la causa del movimento degli astri, al contrario si preoccupa di spiegare il movimento del cielo sulla base di principi fisici. I quattro elementi tradizionali (acqua, aria, terra e fuoco) sono dotati per natura di movimento rettilineo; mentre l'etere, di cui sono formati cielo e astri, è dotato per natura di un movimento circolare.
Gli astronomi alessandrini si preoccupano di risolvere il problema posto da Platone di salvare i fenomeni giustificando le irregolarità con moti circolari uniformi. Elaborano pertanto modelli a epiciclo messi a punto da Apollonio e Ipparco nei secoli III e II a.C. Tali modelli prevedono che il pianeta generico P compia un'orbita circolare (epiciclo) intorno ad un punto A che a sua volta si muove lungo un'orbita circolare (deferente) intorno ad un centro immobile: la Terra. Tale modello giustifica le differenti velocità del moto del pianeta lungo l' orbita circolare e il cambiamento di direzione del moto del pianeta così come appare sulla Terra attraverso il sommarsi di moti circolari uniformi. Eraclide Pontico (IV secolo a.C.) ipotizza che la Terra svolga una rotazione quotidiana intorno al proprio asse per spiegare l'alternanza tra giorno e notte.
Aristarco di Samo (III secolo a.C.) postula che il sole stia immobile al centro della sfera delle stelle fisse e crede che la Terra sia un astro dotato sia di un moto intorno al proprio asse sia di un moto intorno al Sole. Spiega dunque con i movimenti di rotazione e rivoluzione l'apparente moto a ritroso del Sole e l'alternanza di giorno e notte.
Tolomeo (II secolo d.C.) porta al suo massimo sviluppo l' astronomia geocentrica. Egli introduce il modello “a equante” che gli permette di spiegare la diversa durata tra estate e inverno mediante il meccanismo di cerchio deferente ed epiciclo; egli ammette diversi centri dei moti (i centri degli epicicli), tali centri erano punti matematici ideali. La sua fortuna è legata allo sforzo di coniugare i modelli astronomici alla fisica di Aristotele ed è per questo motivo che egli è ritenuto l'artefice del sistema aristotelico-tolemaico i cui tratti essenziali sono la sfericità, la finitudine e l'immobilità del cosmo, la posizione centrale della Terra, l'irriducibile distinzione tra mondo celeste e terrestre. Questi tratti saranno ripresi dalle cosmologie medioevali fino ad imporsi con l'affermazione del modello eliocentrico elaborato da Copernico nel De revolutionibus orbium coelestium del 1543. Avicenna, filoso arabo medioevale (980-1037 d.C.), pensa al cosmo come avente al centro la Terra e composto di cieli sferici concentrici, secondo il modello aristotelico. Arriviamo poi al platonismo cinquecentesco il cui maggior rappresentante è Marsilio Ficino (1433-1499). Egli riprende il concetto platonico dell' anima del mondo (intesa come un principio cosmologico e non solo antropocentrico), al fine di ottenere un'immagine del cosmo unitaria e dinamica. Nella metà del XVI secolo la rivoluzione astronomica copernicana sconvolge la cosmologia classica e medioevale ritenendo il modello degli epicicli e dei deferenti complesso e privo di ordine. Nel rinascimento il neoplatonismo alimenta l'idea di un universo razionale, opera di un artefice onnisciente e perfettamente ordinato, identificato con la simmetria, la semplicità del cosmo e l'armonia matematica.