Beatrice Fraschini
La concezione meccanicistica della realtà fisica

2c1. La concezione meccanicistica della realtà fisica (e della sensazione)

Galileo tratta qui, all'interno del Saggiatore, il tema delle qualità delle sostanze da noi osservate: ci sembra che una materia abbia un determinato colore e sapore e che stia in un determinato luogo; ma Galileo esclude che queste qualità siano proprie della cosa osservata, perché se si eliminasse il corpo che sente (noi) scomparirebbero anche le qualità percepite. Ad esempio, se noi passiamo una mano su una statua raffigurante un uomo e la passiamo poi su un uomo vero, ci rendiamo conto che il moto e l'azione del toccare sono uguali in entrambi i casi, ma la sensazione che noi proviamo è diversa e quando sentiamo solletico di certo non possiamo dire che sia una qualità dell'oggetto toccato o della mano,ma unicamente nostra. Secondo la tesi meccanicistica qui sostenuta, le qualità che ci sembrano proprie dell'oggetto osservato in realtà non sono atro che atomi che urtano i nostri organi di senso, per cui siamo noi che possediamo la sensazione, non la sostanza.

Anche il gesuita Grassi attaccato da Galileo, rispondendogli con la "Ratio ponderum et sibellae", usa gli stessi termini di “soggetto”, “sensibile”, ecc., ma con delle sostanziali differenze che adesso vedremo. Nel testo sopra riportato Galileo usa questi termini distinti per riferirsi ad ambiti specifici: per descrivere la realtà fisica usa termini come materia, sostanza corporea, suggetto; per designare le qualità sensibili condizioni, non [...] altro che puri nomi, qualità, affezioni; per il soggetto dotato di organi di senso usa corpo sensitivo, animale. Caso particolare di una differente interpretazione è il termine soggetto. Prendiamolo in considerazione.

In Aristotele e nell'aristotelismo scolastico “soggetto” cui le qualità appartengono (da “subiaceo” o “substo”, da cui “sostanza”) ha il significato di “oggetto” nel senso di oggetto osservato; in Dante il termine assume un duplice significato: da un lato indica l'”oggetto” come in Aristotele, dall'altro indica invece l'”anima”, soggetto che percepisce. Questo concetto viene ripreso da Galileo che intende “soggetto” cui appartengono le qualità come soggetto che osserva e percepisce la realtà che lo circonda e infatti indica l'uomo come animale senziente (da “sentio”), cioè anima in possesso di qualità sensibili.

La tradizione Cattolica, che al tempo di Galileo si rifà alla Scolastica, riprende Aristotele e ritiene quindi inaccettabile lo slittamento di enfasi adoperato dallo scienziato. In I filosofi e le idee, di Cioffi, Luppi et al., è presente il punto focale della risposta di Grassi a Galilei. Il punto che più interessa e preoccupa il Gesuita è il rito dell'Eucarestia: i Santi Padri che si rifanno fedelmente alle Sacre Scritture sostengono che pur scomparendo le sostanze del pane e del vino, “grazie a parole onnipotenti” e per volontà divina rimangono le loro specie sensibili, cioè colore, odore e sapore. Questo si riferisce precisamente al processo della "transustanziazione": durante l'Eucarestia pane e vino perdono la loro essenza di pane e di vino e diventano corpo e sangue di Cristo, come nell'Ultima Cena, pur mantenendo le qualità delle sostanze precedenti. Se, secondo Grassi, si sostenesse la posizione di Galileo, una volta eliminati pane e vino, non rimarrebbero neanche le loro qualità, ma rimarrebbe solo puro nulla. Allora a cosa servirebbe il miracolo, per mantenere il puro nulla? Sarebbe inaccettabile! Certamente l'osservazione di Grassi è lecita in quanto la Chiesa vedeva messo in discussione uno dei suoi capisaldi, ma in realtà la teoria di Galilei viene stravolta e le sue parole vengono rigirate: egli infatti non avrebbe mai detto che colore, odore e sapore fossero qualità appartenenti a pane e vino, ma qualità appartenenti a me, animale senziente, che, venendo in contatto con queste due sostanze, provo sensazioni diverse.