La "sua" Milano
Amore per una città che è stata ma ora appare svanita. Una Milano d’altro spirito e d’altri tempi.
Non era milanese di nascita, ma lo diventa ben presto d’adozione. Frequenta qui il liceo classico Ginnasio Carducci, ed entra a far parte in modo attivo della vita sociale e culturale della città.
Provenendo dalla provincia, viene subito attirato dalle occasioni che Milano offriva. "Il piccolo centro gli stava stretto, mentre la metropoli gli consentiva l’anonimato, la possibilità di una vita segreta, clandestina". Amava gli stimoli e le possibilità di cui la città era ricca, "amava corso San Gottardo dove dietro ai portoni scopri cortili, interi paesi con negozi e ballatoi e Corso Buenos Aires perché gli ricordava le ramblas spagnole".
Passava il suo tempo a visitare cortili nascosti, giardini segreti, angoli di campagna in piena città. Difendeva le librerie tradizionali, i mercatini sui navigli, le trattorie, i laboratori artigianali e le macellerie, ormai quasi cancellate in nome del progresso.
Era attratto dallo spirito della Milano illuminista, dalla vivacità della Milano medievale, le cui meraviglie descritte da Bonvesin da la Riva, proprio lui aveva tradotto con passione. Aveva vissuto l’apice di una città all’avanguardia ed ora doveva constatarne il declino in atto. Un declino culturale e sociale iniziato negli anni Settanta, che lo aveva portato a girare a largo dalla zona di Brera, tradita e trasfigurata per ragioni affaristiche, spopolata dagli artigiani e dagli artisti sostituiti dagli uffici e dagli atelier. E anche "i navigli erano diventati una falsa meta turistica, un polo di attrazione per i divertimenti notturni ma senza piú autenticità".
Amava una Milano altra, una Milano senza traffico e senza inquinamento. Una Milano dall’accesa vita di quartiere, una città d’arte e di cultura. Una città che pian piano è scomparsa ma che Pontiggia conservava nel cuore e che ricordava di tanto in tanto sfogliando libri d’arte e fotografie d’epoca.