Istantanee del boom socio-economico

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L’Italia del Dopoguerra e con lei Milano visse quello che viene definito il Miracolo italiano, un periodo di grande sviluppo economico a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo. Favorito da diversi fattori portò a un innalzamento della qualità di vita e dei livelli di consumo fino ad allora impensabile. Paolo Monti nei suoi scatti immortala i simboli e le contraddizioni che questo momento di grande fermento, forte crescita economica e rapido sviluppo tecnologico ha comportato. Questi due decenni sono il teatro di importanti trasformazioni sociali sia nello stile di vita, che nel linguaggio e nei costumi, mutamenti che si riflettono sulla città che cambia e si adegua, non sempre in modo positivo, che alterna sentimenti di spensieratezza all’inquietudine, che sa essere razionale e allo stesso tempo è pervasa da utopie e che vede la coabitazione di nuove e antiche tradizioni e stili di vita. Milano è la metropoli che “non dorme mai”, accoglie tutti e dona opportunità e speranza nel futuro, è una fucina di idee e di progetti, nati dal confronto fecondo tra artisti, designers, artigiani, industriali, architetti e intellettuali italiani e internazionali. La Torre Velasca e il grattacielo Pirelli ne sono il simbolo. Architetture potenti dalle linee sperimentali che non solo hanno cambiato lo skyline meneghino, ma sono l’emblema di un’imprenditoria dinamica. 

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La Milano del dopoguerra è una città che corre, quella di Giorgio Gaber in Com’è bella la città, “piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce”. Il primo segno tangibile del boom economico è l’aumento dei consumi in tutti i settori e l’estetica dei prodotti è importante tanto quanto la loro funzionalità. L’incremento delle vendite interessa gli oggetti per la casa e gli elettrodomestici, il cibo, la moda, lo sport e la mobilità di massa. Se negli anni Cinquanta l’oggetto del desiderio erano gli scooter, dalla Lambretta alla Vespa, nel decennio successivo è l’automobile, dalla Fiat 500, la piccola utilitaria che ha cambiato le abitudini degli italiani, alla Giulietta Alfa Romeo. La televisione, che ha portato cambiamenti ancora più epocali, amplifica tutto promuovendo e lanciando mode. A corollario, l’aumento dei consumi ha incoraggiato le imprese a investire in pubblicità e i centri urbani si colorano di manifesti che spesso utilizzano immagini fotografiche e non disdegnano l’impiego di neon per attirare l’attenzione del pubblico. Piazza Duomo, luogo di ritrovo dei milanesi, non è mai buia, merito delle pubblicità luminose. Luci che, verso la fine degli anni Sessanta, cominciano ad affievolirsi, i fermenti ideologici, i disordini sociali, le rivendicazioni sindacali, la strage di piazza Fontana e la crisi petrolifera, imporranno una diminuzione dei consumi e traghetteranno Milano negli anni Settanta, gli Anni di piombo. 

La Pirelli, un nuovo modo di comunicare

Paolo Monti, il manifesto pubblicitario di Pino Tovaglia avvolge le impalcature del grattacielo Pirelli, 1958 circa mappa

Il 12 luglio 1956 viene posata la prima pietra del grattacielo Pirelli. Il progetto, affidato allo studio di Gio Ponti coadiuvato da un team di professionisti, con la consulenza degli ingegneri Pier Luigi Nervi e Arturo Danusso, è all’avanguardia, emblema di un’azienda in piena crescita che ha ben compreso l’importanza della comunicazione e della gestione della propria immagine, affidata a progettisti e designer di fama che avranno un ruolo fondamentale nell’educazione del gusto delle masse. Al venticinquesimo piano del grattacielo, ha sede la Direzione Propaganda, diretta da Arrigo Castellani che, avvalendosi della collaborazione di grafici e designer di fama, come Antonio Boggeri, Franco Grignani, Erberto Carboni Ezio Bonini, Bob Noorda e Pino Tovaglia, realizza campagne pubblicitarie tra le più iconiche dell’epoca, destinate a stupire e meravigliare, come quella per i Pneumatici inverno realizzata a più mani, sei diversi stili per altrettanti modi di promuovere il prodotto. A Pino Tovaglia si deve il manifesto dalle essenziali linee optical, che, avvolge le impalcature del cantiere del grattacielo: due icone di quegli anni a confronto. 

La Torre Velasca,
la Milano che guarda al futuro
  

Il cantiere della Torre Velasca, progettata dal gruppo BBPR, simbolo di una città in continuo mutare che sperimenta e guarda al futuro, immortalato nella fotografia di Paolo Monti da via Pantano. La Torre è ormai innalzata, ma le palizzate chiudono ancora la strada e sono tappezzate di manifesti che pubblicizzano eventi e prodotti. Richiama l’attenzione il manifesto uscito dalla matita di Pino Barale che pubblicizza il Salone dell’automobile di Torino del 1957 o dell’anno successivo: un uomo corre con un volante tra le mani sopra la sagoma di un’auto. Il Salone torinese, era la principale vetrina espositiva automobilistica internazionale e tre anni prima, nel 1954 nel capoluogo piemontese venne presentato il furgone dell’Alfa Romeo, Romeo che resterà in produzione fino al 1967, parcheggiato poco distante. Un simbolo dell’epoca, commercializzato in diverse varianti, da pick-up ad ambulanza. Lo scatto ha colto in primo piano, sotto l’insegna MOTO anche una Lambretta Innocenti e una Vespa Piaggio, testimonial dello stile italiano nel mondo, grazie al suo appeal iconico.

Paolo Monti, scorcio della Torre Velasca da via Pantano, ante 1958. Sotto, particolare di via Pantano mappa

A tutta velocità verso il futuro 

Sullo sfondo della chiesa di San Bernardino alle Ossa, la Giulietta dell’Alfa del 1955, espressione di eleganza e sportività, contrasta con le rovine del Verziere che mostrano una città ancora ferita dalla guerra. È una situazione transitoria perché Milano è un organismo in continuo divenire e l’automobile è l’emblema del desiderio di correre, andare oltre. Le elezioni politiche del 1953 hanno visto la vittoria della DC, nonostante il partito abbia perso oltre due milioni di voti rispetto alle elezioni del 1948, e i cartelli elettorali affissi sui muri rilanciano la figura di Giuseppe Saragat, socialista democratico, futuro Presidente della Repubblica. A calamitare l’attenzione, però, con i loro colori sgargianti e i messaggi accattivanti, sono i manifesti che reclamizzano prodotti sempre più accessibili anche alle fasce meno abbienti della popolazione, venduti a basso costo al supermercato, luogo iconico degli anni Sessanta. 

Paolo Monti, il Verziere, 1955-1960 circa mappa

Dal genio di Armando Testa, intorno alla metà degli anni Cinquanta, scaturisce la pubblicità dalla carne di bue in scatola della Galbani, lessata al vapore. Il maestoso toro, animale forte e dominante, qui raffigurato con la scatoletta al posto della testa, simboleggia non solo la potenza e la determinazione, ma veicola anche un messaggio di stabilità e affidabilità che ben si coniuga con il celebre claim dell’azienda, coniato nel 1956, “Galbani vuol dire fiducia”. Negli stessi anni un’altra azienda, la Unilever, aveva ben compreso l’importanza del marketing per pubblicizzare i propri prodotti di largo consumo. Il sapone delle dive, LUX, che promette una bellezza eterea, è stato uno dei primi marchi che ha legato il suo nome ai volti delle star internazionali dello spettacolo, esaltandone fascino e raffinatezza, prima fra tutte le attrici Dawn Addams e Cyd Charisse, ma non si possono non citare, tra le più celebri, Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor, Claudia Cardinale e Audrey Hepburn.

Paolo Monti, pubblicità del sapone LUX con Cyd Charisse, circa 1950-1960

Paolo Monti, l’edicola di piazza Santo Stefano, 1955-1960 circa mappa

La carta stampata

A Milano il boom economico si riflette anche nell’arte, nel cinema e nell’editoria. Il capoluogo lombardo è sede delle più importanti case editrici e i giornali restano il principale strumento di informazione: celebri tra le testate Il Giorno, il quotidiano milanese, fondato nel 1953 da Enrico Mattei, per controbattere agli attacchi dell’industria privata, l’Europeo, Epoca, Panorama, Marie Claire che negli anni Sessanta usciva in Italia con consigli di moda, bellezza e le ultime tendenze e ancora Bellezza la rivista fondata nel 1941 da Gio Ponti con l’obiettivo di documentare l’alto livello del gusto e degli eventi culturali italiani, dal cinema al teatro, dalla letteratura all’arte. Negli anni ‘50-‘60 la rivista fu declassata a periodico di moda femminile dedicata al prêt-à-porter

Lo sguardo di Eva

EVA, il settimanale pubblicato tra il 1933 e il 1968 era una rivista femminile con articoli dedicati alla moda, alla casa e alla famiglia. Dispensava consigli di bellezza, rispondeva alle domande delle lettrici, raccontava la vita dei personaggi pubblici dell’epoca, ma sarebbe un errore classificare questa e le altre riviste solo come giornali frivoli, poiché uno dei motori che hanno portato alle contestazioni e alle rivendicazioni femminili sono state proprio le nuove mode, segno di un diverso modo di pensare che stava germogliando tra le pagine patinate. Finalmente le donne osavano di più. All’inizio degli anni ‘50 è il New Look di Dior, espressione di lusso ed eleganza, poi a Londra Mary Quant, l’inventrice della minigonna, ha proposto modelli rivoluzionari ed è iniziata l’era dei jeans. 

Paolo Monti, una coppia passeggia sotto lo sguardo di EVA, la pubblicità della nota rivista di moda, 1950-1960 circa

1957, da cliente a consumatore

Il 1957 è un anno cruciale per Milano. In viale Regina Giovanna apre il primo supermarket italiano, poi Esselunga, ordinato, pulito, con le cassiere sorridenti, mentre Upim, che aveva precorso i tempi aprendo il grande magazzino di piazzale Loreto già dal 1927, raggiunge i 69 punti vendita dove tutto era venduto a un prezzo unico. Amati e odiati, questi bottegoni sono l’affermazione della società industriale e la conseguenza dell’esplosione demografica nella città che ha fatto crescere la domanda e trasformato il cliente in anonimo consumatore. Ma perché la merce giungesse a destinazione e gli acquirenti potessero raggiungere comodamente i punti di vendita erano necessarie le infrastrutture, autostrade, ferrovie, trasporti pubblici locali e a Milano, nel 1957, iniziano i lavori per la linea 1 della metropolitana.

Paolo Monti, l’Upim di piazza San Babila, post 1957. L’immagine dell’azienda venne affidata a Thomas Maldonado che ne ridisegnò anche la grafica del logo mappa

Paolo Monti, oggetti esposti alla X Triennale di Milano del 1954 mappa

La X Triennale di Milano  

La carica innovativa che pervade Milano negli anni Cinquanta, la ricerca del benessere diffuso e di una migliore qualità della vita si riflettono sulla richiesta di prodotti industriali accessibili a un pubblico sempre più vasto. Sulla scia di questa nuova tendenza e con la consapevolezza della necessità di una stretta collaborazione tra il mondo degli industriali e quello dei creativi, nel 1954 apre la X Triennale di Milano dedicata a Prefabbricazione e industrial design. In chiusura dei lavori Gio Ponti proporrà la nascita di un museo permanente del design che raccolga oggetti d’uso, compresi quelli prodotti industrialmente in serie. Contemporaneamente verrà istituito il Premio Compasso d’Oro, il più autorevole premio di design internazionale. 

Il Premio Compasso d’Oro

Paolo Monti, pubblicità della macchina da scrivere Valentine della Olivetti che vinse il Compasso d’Oro nel 1970 e dal 1971 è parte delle collezioni del Moma

Istituito nel 1954, il Premio Compasso d’Oro, è nato dal genio di Gio Ponti e Alberto Rosselli in collaborazione con La Rinascente. L’obiettivo era valorizzare il design italiano, premiando i migliori prodotti industriali, intesi come sintesi tra estetica, funzionalità e modernità, i loro creatori e l’azienda produttrice. Nel 1958 il Premio venne affidato all’ADI, l’Associazione per il Design Industriale. A oggi sono circa 350 gli oggetti premiati e oltre duemila hanno ricevuto la Menzione d’Onore, tutti raccolti nella Collezione Storica del Premio fondata nel 2001 e molti dei quali esposti nei musei internazionali come il MOMA di New York. Tra questi la macchina da scrivere Valentine della Olivetti, ideata da Ettore Sottsass e Perry A. King nel 1968, è un vero e proprio oggetto di culto. 

Tra presente e futuro,
la Milano che scompare

Piccoli negozi e bar rionali continuano a vivere nella Milano che cambia e apre le porte alle grandi catene internazionali. Sono luoghi unici, senza tempo, dove il passato, il presente e il futuro si incontrano o forse si passano accanto sfiorandosi, ciascuno con il proprio destino. Un’idea che Paolo Monti sembra voler fermare con il suo scatto: da un lato il bar con le sedie in formica e una bici, dall’altro una moto Guzzi Falcone Sport 500 e accanto, affisso sul muro, spoglio e scrostato, un manifesto, precursore di un moderno murales. Pubblicizza il detersivo in scatola OMO della Unilever che sfrutta i ritrovati della scienza per rendere il bucato bianchissimo e stride, nella sua modernità, con il piccolo mondo che le scorre accanto, destinato a scomparire.

Paolo Monti, un angolo della vecchia Milano di fronte alla stazione di Porta Genova, 1950-1960 mappa

L’arte della comunicazione

Paolo Monti, il manifesto del detersivo OMO di Raymond Savignac affisso sul muro della caserma di largo Quinto Alpini, 1963 circa mappa

La ripresa produttiva, l’aumento dei consumi e l’ampliamento e diversificazione delle tipologie dei consumatori, oltre all’entusiasmo che pervade gli anni del dopoguerra, comportano un cambio di strategia comunicativa da parte delle aziende che, affidandosi a designer affermati e al genio di artisti internazionali, sfruttano questo momento di grande creatività per raggiungere la clientela. Il risultato sono immagini così moderne da essere, ancora oggi, assolutamente attuali, come il manifesto, ironico e stilisticamente vicino alla Pop Art, disegnato da Raymod Savignac per pubblicizzare il detersivo OMO della Unilever e immortalato nello scatto di Monti. Un’opera d’arte che esprime tutta la sua forza affissa su un anonimo muro di cinta, piuttosto che in un museo. 
Ancora Savignac, con il suo stile sintetico, grafico, colorato e quasi naïf, ma per la pubblicità della Margarina Gradina della Unilever, la prima prodotta per la tavola italiana nel 1954. Sullo sfondo un quartiere popolare che non ha ancora una sua identità. Sono gli anni del boom edilizio e a Milano, oltre a colmare i vuoti lasciati dalle bombe alleate con edifici che hanno fatto la storia dell’architettura, si riqualificano i quartieri e si edificano le periferie.

Paolo Monti, il manifesto della Margarina Gradina di Raymond Savignac affisso su un muro di cinta in piazza Greco, 1963 circa mappa

Paolo Monti, l’edificio al numero 71 di via Vincenzo Monti, parte del quartiere Nievo, post 1954 mappa

Un nuovo modo di abitare

Il dopoguerra è un momento cruciale per Milano, capoluogo di una regione viva e dinamica, dalla forte vocazione industriale e meta di una immigrazione in cerca di benessere sociale e materiale. La richiesta di modernità nel vivere si riflette nella ricerca di un modo nuovo di abitare che mette l’uomo al centro, con ambienti flessibili, luminosi e dove il verde non è un elemento aggiuntivo, ma parte integrante del progetto. Il risultato sono architetture innovative che rispondono a esigenze reali, frutto della collaborazione tra diversi architetti, come il borghese quartiere Nievo che Monti, nel suo scatto, fotografa ancora in costruzione, sbirciando attraverso le impalcature, dove una bambina sorridente invita i futuri inquilini ad acquistare la Margarina Gradina.

La XII Triennale, la casa e la scuola

Paolo Monti, scorcio delle Case minime degli anni Trenta a Quarto Oggiaro, demolite alla fine degli anni Ottanta.
Al centro il manifesto della XII edizione della Triennale di Milano del 1960 di Roberto Sambonet mappa

Nel 1960 la XII Triennale affronta il tema della casa, inserendosi nel dibattito, culturale e politico che, a partire dalla legge Fanfani del 1949 e del piano INA Casa, aveva evidenziato da un lato il problema dello sviluppo urbano e della crescita delle periferie di una città, come Milano, che in pochi anni ha visto aumentare esponenzialmente la sua popolazione. Dall’altro, ha portato in primo piano la necessità di un nuovo modo di concepire l’abitazione, legato all’idea, utopica, della qualità diffusa nell’abitare, tanto auspicata da Gio Ponti. L’architetto aborriva la costruzione di quartieri ad alta densità abitativa, privi di servizi e di qualsiasi requisito di vivibilità, come quelli della Case minime di Quarto Oggiaro del 1938-1939, demolite alla fine degli anni Ottanta. Le Case minime di Quarto Oggiaro immortalate nello scatto di Monti con la chiesa di Santa Agnese Vergine e Martire sullo sfondo, non sono da confondere con quelle omonime sorte 1952-1953 e destinate alle famiglie di sfollati che avevano perso la casa sotto i bombardamenti. Progettate dall’architetto Arrigo Arrighetti, dell’Ufficio Tecnico Comunale, al Lorenteggio, al Corvetto e in via Palmanova, queste ultime sono abitazioni unifamiliari a schiera, disposte su due piani con un piccolo giardino privato sul retro che rientrano nel clima positivo di sperimentazione e ricerca nell’ambito dell’edilizia popolare. 

Paolo Monti, le Case minime di Quarto Oggiaro, 1960 mappa

Paolo Monti, automobili al semaforo in piazza Duomo, davanti all’Arengario, 1957 circa mappa

Paolo Monti, automobili ferme al semaforo in piazza Duomo, davanti all’Arengario, 1957 circa.

La mobilità di massa

Gli anni Sessanta, nel bene e nel male, hanno molti simboli e uno di questi è l’automobile. A Milano averne almeno una in famiglia era un must have, come si direbbe oggi. Della macchina non si poteva fare a meno. Iconiche sono le immagini dei monumenti della città, assediati dal traffico e nella scenografia di piazza Duomo, la cattedrale, la Galleria e i sontuosi palazzi che la circondano sono solo delle comparse, le protagoniste sono le auto e i ciclomotori, come la Fiat 600 e il Galletto 160, due icone di quegli anni che, ferme al semaforo nello scatto di Monti, sembrano gareggiare con  il quadrimotore della Lockeed Super Starliner, pubblicizzato dalla Air France nel manifesto. La locandina del film Les Girls con Gene Kelly, ci dice che è il 1957 e l’anno successivo verrà inaugurata l’autostrada del Sole.

Le luci della città

Tardo pomeriggio di una giornata invernale in piazza Duomo, le luci della città si sono accese e Palazzo Carminati scompare dietro i neon delle pubblicità: uno spettacolo che attrae l’attenzione dei passanti, ma anche un’immagine che richiama più note piazze di New York e Londra. È il 1959 i collant di nylon, inventati da Allen Gant, sono appena entrati in commercio e, iconici, sensuali, simbolo di femminilità, sono pubblicizzati da OMSA e occhieggiano dall’alto insieme a marchi storici come il brandy Sarti i tre Valletti e Cinzano. Non sono solo messaggi promozionali, hanno una loro bellezza intrinseca, frutto dell’estro di creativi che influenzano il gusto e i desideri di una società che sembra avere sempre maggiore necessità di beni di consumo dei quali, a volte, non sa neppure di aver bisogno.

Paolo Monti, Palazzo Carminati in piazza Duomo con le caratteristiche insegne illuminate, post 1959 mappa

La fine del sogno

Paolo Monti, viale Giuseppe Ferrari e il cantiere del centro direzionale, 1969. Una Bianchina Panoramica Autobianchi sfreccia, sarà fuori produzione nel giro di un anno mappa

Viale Giuseppe Ferrari, la palizzata del cantiere del centro direzionale è tappezzata di manifesti che ci ricordano che siamo alla fine di maggio 1969, nelle sale proiettano Quarta Parete, Holiday on ice è in scena al Palazzo dello Sport e all’inizio di giugno si terranno il Congresso straordinario regionale della DC e l’VIII Congresso della Camera Confederale del Lavoropoi CGIL, dove si discuterà di unità, lotte rivendicative, libertà sindacali, riforme e democrazia sindacale. La Milano che si affaccia agli anni Settanta è una città mutata sia nella forma urbana, sia nel tessuto sociale, segnata dalle contestazioni dei giovani e dalle grandi lotte sindacali che infiammano le strade, fino al 12 dicembre 1969 quando, a chiudere definitivamente un’epoca è la bomba che esplode in piazza Fontana e Milano non sarà più la stessa. 

Crediti

La mostra è stata realizzata dalla Fondazione BEIC nell’ambito del progetto “Milano nelle fotografie di Paolo Monti”, sostenuto dalla Fondazione Banca Popolare di Milano.
Testi e selezione delle immagini a cura di Benedetta Gallizia di Vergano e Michele Stolfa.